Blind guardian

La seguente raccolta di recensione è relativa ai Blind guardian del periodo “Battalions of fear” – “Nightfall in middle earth”. E’ stato escluso l’album “A night at opera”, in quanto la recensione verrà pubblicata entro breve nella homepage del sito come avviene per ogni regolare uscita discografica.

A cura di: Dark Mayhem

Battalions of fear (1988)

Il debutto dei teutonici Blind guardian è avvenuto in piena era di formazione del power metal. Quando gli Helloween proponevano al pubblico gemme come “Walls of Jericho” o i due Keeper, la band di Hansi Kursch se ne sono usciti con un modesto ma imperfetto disco di power-speed quale “Battalions of fear”, in cui la band appare lievemente impacciata ma completamente in grado di proporre una valida anteprima alle composizioni intricate e complesse che più avanti diverranno punto fisso nel songwriting del “guardiano”. La componente Epic appare, nei testi, come seminale credo artistico del combo, ed il power espresso è pomposo e colmato da elementi grezzi che ne esalteranno l’aggressività. Tuttavia, nonostante le buone impressioni che questo album è in grado di esporre, l’impressione che la band manchi in maturità e, a tratti, nella capacità di coinvolgere l’ascoltatore per l’intera durata di un disco, è ben evidente. Disco non fondamentale, ma allo stesso tempo consigliabile agli ascoltatori del power/thrash teutonico ottantiano (vedi primi Angel dust).

Voto: 6,5

Follow the blind (1989)

La formula cambia, ma non radicalmente: la band si ripropone in una veste diretta ed aggressiva, lievemente meno thrashy che in “Battalions of fear”, ma soprattutto maturata dal punto di vista della produzione, meno confusionaria e curata alla meglio. La band, tuttavia, pare accostarsi in una maniera non del tutto esplicita alle sonorità scaturite dai due Keeper, ed i primi classici della band iniziano a fioccare, anche se in maniera piuttosto contenuta. “Banish from sanctuary” appare come uno dei cavalli di battaglia del disco, mentre “Valhalla” (nella quale fa comparsa il power metal-God Kai Hansen) irrompe come una campana d’allarme pronta a segnalare che la band, nella sua effettiva qualità, è presente e maturata. Due cover di ottimo livello come “Don’t break the circle” dei mai dimenticati Demon e “Barbara Ann” dei Beach Boys chiudono orgogliosamente il lotto, sebbene alcune sezioni del disco siano cariche di lacune, soprattutto nell’intrattenimento relativo all’ascoltatore, dove pesa il grave dell’inesperienza della band. Degna di nota, “Beyond the ice”, pezzo strumentale posto a metà del lavoro, dove il songwriting del quartetto viene alla luce in maniera decisa. In ogni caso, i primi risultati degni di nota vengono alla luce…

Voto: 7

Tales from the twilight world (1991)

Arrivano gli anni novanta, ed arrivano i veri Blind guardian. Il songwriting della band diviene piu’maturo, leggermente meno aggressivo, e la componente melodica del combo viene a farsi spazio rispetto alle parti più grezze ed abrasive, qua in netta diminuizione. E come è nella tradizione di molte band, in coincidenza col terzo full lenght viene fuori un lavoro di tutto rispetto: la componente fantasy viene ancora una volta esaltata senza mezzi termini, ed un disco comunque diretto e potente viene messo in mostra da una interpretazione tecnica di tutto rispetto. Episodi potenti come “Traveler in time” o “Welcome to dying” segnalano una band che va perfezionandosi, pur mantenendo buona parte dell’aggressività dirompente degli esordi, quindi, un pezzo come “Lord of the rings” (immenso tributo a J.R.R. Tolkien), rompe ritmi ed aspettative, e mostra il lato più contenuto e melodico di una band che pare ben avviata verso un successo di grande livello. Con “Tales from the twilight world” si segnala l’avvento dei veri Blind guardian, irresistibili, maturi, abili nel comporre e nel trasportare epicità ed ambientazioni fantasy su basi metal. E saranno proprio queste doti, piu’in la’ a renderli dei veri maestri del genere.

Voto: 8

Somewhere far beyond (1992)

Le composizioni della band tedesca si fanno leggermente più intricate rispetto a quanto proposto in passato, il songwriting e la complessità dei singoli episodi salgono di livello, e tutto questo avviene senza inalterare la semplicità con la quale sia la band che il pubblico vengono a contatto con un materiale dalle simili caratteristiche: i primi nel comporlo, i secondi nell’accoglierlo come il secondo disco trionfante targato Blind guardian. I classici continuano a fioccare: dalla bellissima “Time what is time”, avente la funzione di opener del disco, alla sottovalutata “The quest for Tanelorn”, alla diretta e pomposa “Ashes to ashes”. Stupendo anche il duo “The bard’s song”, diviso nelle parti “In the forest” e “The hobbit”. Il disco prosegue senza troppi intoppi, sebbene la maestosità compositiva sia concentrata su alcune canzoni e non diffusa omogeneamente sull’intero lavoro come in seguito la band di Olbritch farà con maestria e sicurezza. Presente, quasi alla conclusione del disco, la ben eseguita cover di “Spread your wings” dei leggendari Queen.

Voto: 8

Tokyo tales (1993)

Disco dal vivo attraverso il quale la band viene a rappresentare il suo primo periodo. L’album vede una band in forma, ben accolta dal pubblico nipponico, ed alle prese con i classici del primo periodo. Molto alto è il peso dato dalla band ai pezzi di “Tales from the twilight world”, mentre non è ben rappresentato il disco di debutto, “Battalions of fear”, dal quale viene messa in mostra una buona versione di “Majesty”. Da segnalare la presenza di due song enormi come “The quest for Tanelorn” e “Valhalla”, che in là con gli anni la band userà in sede Live col contagocce. Il disco è l’ideale per chi conoscesse solo i classici “Immaginations from the other side” / “Nightfall in middle earth”, in quanto i pezzi, in ogni caso, sono ben distribuiti fra le prime quattro produzioni della band tedesca. Unica pecca, la produzione, per nulla cristallina rispetto ad altri Live-album di culto, a cui va ad aggiungersi un mixaggio impreciso ed approssimativo.

Voto: 7,5

Immaginations from the other side (1995)

Il disco, prodotto dal danese Flemming Rasmussen (all’opera, anni prima, anche su dischi dei Metallica come il celebre “Ride the lightning”), si presenta come uno dei dischi più belli che il power metal abbia mai messo alla luce, a testimonia dell’immenso potenziale rappresentato dalla scena teutonica. “Immaginations from the other side” ha consacrato i Blind guardian, rendendoli popolari, sicuri, e con la conoscenza del fatto che finalmente, dopo una serie di buoni dischi, il primo vero e proprio capolavoro era stato messo alla luce. Il lavoro è una monumentale sequela di classici, song dove il livello emozionale-espressivo della band tocca il cielo come mai nessuno era riuscito attraverso un power metal così complesso e minuziosamente studiato. E così, mentre i Rage proponevano dischi maestosi con una formazione a due chitarre (senza però bissare il grandioso “Trapped!”), e gli Helloween si ritrovavano a rimpiangere i due Keeper, dalla band di Hansi Kursch e Thomen Stauch è uscita una gemma senza precedenti. Sin dalla title track, posta in apertura al disco, si capisce che la maturazione della band è divenuta totale, quindi, pezzi furiosi come “I’m alive” o “Born in a morning hall” ripropongono la band nella sua vecchia veste, arricchita però da un perfezionismo mai limitante od imgombrante nel songwriting e nella qualità effettiva delle proposte effettuate. Anche nei momenti basati su ritmi contenuti (“A past and future secret”) non emergono lacune considerevoli. Il capolavoro del disco è “Bright eyes”, canzone rea di aver diviso la critica fra adoratori e dubbiosi detrattori relativi ad essa.

Voto: 10

The forgotten tales (1996)

Un disco, “The forgotten tales”, che forse poteva essere anche evitato, in quanto la sua importanza all’interno della discografia dei Blind guardian è di tipo quasi esclusivamente riempitivo. Il nuovo lavoro, se così possiamo chiamarlo, propone infattti una raccolta delle precedenti cover effettuate (vengono chiamati in causa gruppi come Beach Boys, Queen o Uriah Heep, questi ultimi tramite “The wizard”, brano già presente sul singolo apripista di “Immaginations from the other side”, avente per oggetto “A past and future secret”), alle quali vengono aggiunte le interessanti versioni di “Mr. Sandman” o della irriconoscibile “Surfin USA”, resa dalla band personalizzata ed interessantissima. Oltre a questi episodi, sono presenti versioni orechestrali od acustiche di classici quali “Bright eyes” o “Lord of the rings”. Il tutto, però, sa di pura mossa riempitiva, e per avere un nuovo full lenght dalla band teutonica si dovranno aspettare altri due lunghi anni.

Voto: 6

Nightfall in middle earth (1998)

E’difficile trovare delle parole con le quali descrivere questo lavoro: “Nightfall in middle earth”, assieme a “Visions” degli Stratovarius e “Better than raw” dei cugini Helloween, ha decretato nel 1998 la definitiva esplosione del power metal, dopo un anno, il 1997, nel quale i primi segnali erano giunti da lavori come “Somewhere out in space” (Gamma ray) o “Episode” dei succitati Stratovarius. Il lavoro è un totale e completo tributo al celebre scrittore fantasy J.R.R. Tolkien, in quanto viene trattata una delle sue opere più complesse e, forse, sottovalutate: il Silmarillion. L’album, contenente ventidue tracce, presenta un ottimo bilanciamento fra i brani power ed i momenti di intermezzo o quelli recitati. La storia scorre senza intoppi, l’opera si presenta maestosa e brillante, grazie all’appoggio di elementi sinfonici e dell’alto numero di guest musicians impiegati. I classici in mancano, e pezzi memorabili come le furiose “Into the storm” e “When sorrow sang” vengono in contatto con brani riflessivi ed atmosferici come la monumentale “Nightfall” o “The eldar”. Degne di nota anche “Noldor”, “Blood tears” e “Time stands still (at the iron hill)”. Discorso a parte, invece, per “The mirror ” (nel cui singolo è presente una cover di “Beyond the realms of death” dei Judas priest), autentico capolavoro, indescrivibile quanto maestoso. Tuttavia, l’eccessiva complessità delle song ha leggermente infierito sulla potenza del disco, da segnalare in calo rispetto alla stabilità delle ultime tre produzioni full lenght, e sebbene il lavoro sia un mezzo capolavoro, esso non è di certo in grado di bissare la regalità di “Immaginations from the other side”.

Voto: 9