Death

A cura di: Dark Mayhem

 

Ecco la raccolta di recensioni relativa ai Death, la nota band death metal americana capitaneggiata da Chuck Schuldiner recentemente scomparso.


Scream bloody gore (1987)

Lavoro storicamente importantissimo, il disco di debutto dei Death “Scream bloody gore”. Lontano anni luce dai lavori della band iper-tecnica che raccogliera’ grandi responsi negli anni a seguire, questo disco rappresenta comunque nel suo minimalismo una pietra miliare nonche’il disco piu’sottovalutato dell’intera carriera della band di Chuck Schuldiner. Caratterizzato da un death metal grezzo e fulminante nella sua velocita’, SBG fa perno su autentici capolavori come “Zombie ritual”, “Evil dead” o “Baptized in blood”. Da sottolineare anche l’aggressiva “Beyond the unholy grave”, presente come bonus track in quanto ripescata da una delle demo della band (assieme alla successiva “Land of no return”). Nell’ultima ristampa del disco saranno presenti, inoltre, anche due aggiuntive bonus tracks, entrambe registrate dal vivo, fra cui figurera’ “Open casket”). La produzione, oltre a rendere i suoni marci e “malati”, tende purtroppo a creare una situazione negativa, a causa dei suoni spesso fin troppo echeggianti del rullante della batteria di Chris Reifert (successivamente batterista dei gloriosi Autopsy) e delle linee di chitarra mal mixate. Ma non importa, il lavoro e’seminale, e la classe compositiva del leader indiscusso Schuldiner, sebbene non imponente sul piano tecnico, si e’gia’rivelata da principio regalando alla audience piu’estrema un piu’che valido lavoro.

Voto: 8

Leprosy (1988)

Formazione rivoluzionata per ben tre quarti (via Reifert ed Hand, sostituiti da Rozz, Andrews e Butler, quest’ultimo acquirente della posizione in formazione in qualita’di bassista, ruolo che sul precedente disco era affidato allo stesso Schuldiner), ed i Death attuano la prima rivoluzione: i tempi rallentano, la produzione migliora, la tecnica inizia a comparire a sprazzi. Il risultato e’un disco qualitativamente di poco inferiore a “Scream bloody gore”, al quale giovano pero’i fattori elencati sopra. Giudicato anch’esso basilare per la scena death metal primordiale degli anni ottanta, “Leprosy” contiene songs di altissimo livello qualitativo come “Leprosy”, “Open casket” o “Choke on it”, e raggiunge il suo culmine nella quinta traccia del disco, la immensa “Pull the plug”, dove i cambi di tempo ed i riffs fulminanti di Chuck Schuldiner danno vita ad una delle song piu’belle della band. Tutto cio’non basta, poiche’il minimalismo di SBG, in parte perduto, toglie parte del fascino del sound della band, ma soprattutto per il lieve calo qualitativo riscontrabile nelle singole songs.

Voto: 7+

Spiritual healing (1990)

Ne’carne ne’pesce, questo terzo disco dei Death. Annunciato come definitiva prova della maturazione stilistica della band americana, “Spiritual healing” vede come elementi portanti di se’ un’enorme maturazione tecnica della band ed un piccolo ma fondamentale incremento qualitativo nella produzione. Nonostante cio’, il disco non si presenta ne’come una produzione di death metal tecnico, ne’come un disco grezzo sulla scia dei precedenti lavori. Buono qualitativamente, ma mai eccelso, “Spiritual healing” non contiene nessun classico della band, ma una collana di buone canzoni stilisticamente ben curate ed ottimamente suonate. Da segnalare la prova del virtuoso James Murphy (e da qui si puo’dire che si è avviata la “saga” dei grandi chitarristi di spalla ad Evil Chuck…), e le ottime “Left to die” ed “Altering the future”. Tutto il disco, pero’, si aggira su livelli qualitativi medio-alti, senza pero’presentare particolari picchi positivi o negativi.

Voto: 7

Human (1991)

Il songwriting della band, con l’approdo alla “Relativity” (band in precedenza sotto contratto per la “Combat”, esplode all’improvviso. Le ragioni a cui attribuire un salto di qualita’cosi’netto (poiche’da qui in poi usciranno solo capolavori…) sono svariate: innanzitutto, basta citare i musicisti impiegati in formazione…Chuck Schuldiner (voce, chitarre), Paul Masvidal (chitarre, musicista dei Cynic), Sean Reinert (batteria, compagno di Masvidal nei Cynic, e successivamente negli Aghora’), Steve DiGiorgio (basso, presente anche su svariati dischi di bands del calibro di Testament, Sadus, Autopsy, e piu’recentemente Dragonlord, Iced earth e Control denied). Detto questo potrei chiudere la mia recensione ed assegnare un nove al disco…..ma cio’che devo descrivere e’forse piu’impressionante dei nomi appena citati: dall’opener “Flattening of emotions”, passando per capolavori come “Suicide machine”, “Together as one” o “Lack of comprehension”, i pezzi sono tutti belli, e manifestano un’enorme crescita stilistica dei Death, oramai lontanissimi dalla primitiva forma musicale, che li vedeva ben piu’vicini a bands come i primi Obituari (“Slowly we rot” – “Cause of death”), a favore di un death metal prettamente tecnico e dotato dello sgargiante marchio di fabbrica stilistico dei Death, da allora esempio per moltissime bands come Atheist, Cynic, e, perche’ non inserire i Pestilence di “Testimony of the ancients” (nonostante la matrice thrash fosse ben piu’forte)? Capolavoro…ma soltanto il primo.

Voto: 9

 

Fate (1992)

Non di certo fondamentale, in quanto si tratta di un Best of realizzato dopo soli quattro dischi, peraltro, di cui tre sono considerati dai piu’ (ahimè) i meno maturi e rappresentativi della band, ma in ogni caso un ottimo tassello discografico, utile per chi volesse avvicinarsi al vecchio sound dei Death senza doversi procurare tutti gli album prodotti nel periodo 1987 – 1990 (escludo “Human”, considerandolo un prodotto appartenente alla successiva “realta’” musicale del combo americano). Da sottolineare pesanti assenze, come quelle di canzoni basilari quali “Beyond the unholy grave”, “Evil dead”, “Choke on it” e “Defensive personalities”. Il resto, ovvero cio’che vi e’stato inserito, e’un importante frammento della storia di questa grandissima band.

Voto: 6,5

 

Individual thought patterns (1993)

Il sound migliora di netto rispetto a quello udito su “Human” (forse una delle pecche principali di quel gran capolavoro del death metal…), ed e’proprio questa la marcia in piu’ reperibile su “Individual thought patterns”, disco che segnala un ulteriore cambio di line up, consistente qua negli innesti, attorno al “perno” di Chuck Schuldiner (ed al non ancora defezionario Steve DiGiorgio), di grandi musicisti come Gene Hoglan e Andy LaRocque (rispettivamente batterista e chitarrista, quest’ultimo presente nella line up della band di King Diamond, e, recentemente, comparso come guest in una produzione dei Dimmu Borgir, “Puritanical euphoric misanthropy”). La qualita’media delle song cala lievemente, in quanto troviamo una esplosiva prima parte del disco, formata dalle grandi “Overactive immagination”, “In human form”, “Jealousy” e “Trapped in a corner” (storiche queste ultime due…sia per la rabbia sprigionata che per l’immenso lavoro solistico svolto), quindi un break centrale dove l’interesse e la qualita’delle song cala nettamente, per poi trovare, in fondo al disco, una perla come “The philosopher”, che non mi vergognerei affatto a definire una delle piu’belle song metal degli anni novanta. Tuttavia, un grandissimo disco, una enorme prova, ed una band, quella dei Death, che cresce stilisticamente in maniera sproporzionata.

Voto: 8,5

 

Symbolic (1995)

Alti e bassi si manifestano minacciosamente in questo disco, segnalando un nuovo e netto cambio di rotta attuato da parte del capo incontrastato Chuck Schuldiner. Se da una parte il bagaglio tecnico della band, in particolare attenendosi a quanto mostrato da Chuck Schuldiner e da Gene Hoglan, va in continuo crescendo, e ad appoggio di questo troviamo una produzione ed una cura dei brani pressoche’ perfette, sull’altro piatto della bilancia grava minacciosamente la perdita di potenza ed il calo dei ritmi, entrambi elementi che affiorano imponenti su “Symbolic”. Nonostante cio’, questo lavoro e’forse quello che contiene il piu’alto numero di classici della band. Inevitabile il soffermarsi su perle come la title track, veloce e coinvolgente, “Zero tolerance”, “1000 eyes”, “Without judgement”, e le due incredibili “Empty words” e “Crystal mountain”, da allora inamovibili dalle scalette dei concerti della band. Da segnalare anche la presenza di “Misanthrope”, pezzo tipicamente strutturato su ritmiche power metal, su cui si erige pero’il growl soffocante di Chuck Schuldiner…..un preludio ai Control Denied?

Voto: 8,5

The sound of perseverance (1998)

Immenso capolavoro del metal. Ne’piu’, ne’ meno. Trovare un netto punto debole in “The sound of perseverance” significherebbe compiere un miracolo. Da molti glorificato, da altri snobbato per il netto allontanamento dalle sonorita’death a favore di un mix di ritmiche heavy, arricchite dall’enorme bagaglio tecnico della band, ora solo alle prese con reminiscenze del suo genere padre, (nonche’ marcata dal totale cambio di stile vocale della voce di Schuldiner, ora alle prese con un efficace ma non sempre incisivo e malvagio scream), “The sound of perseverance” rappresenta a mio giudizio il gradino piu’alto mai toccato dai quattro (formazione ancora totalmente rivoluzionata, su cui sottolineo le grandi prove di Hamm e Christy, quest’ultimo batterista di Iced earth e Control denied), fondando le basi per un tale trionfo sull’immensa qualita’dei pezzi contenuti, nessuno escluso, e forse neanche nessuno da sottolineare oltre gli altri. Ogni pezzo e’una gemma, ed e’destinato a divenire classico della band americana. “Spirit crusher”, “Flesh and the power it holds” sono solo due delle prove di questa magnifica e perfetta unione fra potenza e tecnica. Da avere.

Voto: 10