Incredibilmente tornati sulla scena con un disco che rompe molti punti di contatto col precedente “The legend begins”, i Beholder giungono nuovamente sulle nostre pagine con un’intervista. L’interlocutore è sempre Patrick Wire, impegnatissimo con le interviste promozionali ma disponibilissimo e simpaticissimo nel rivelare lo status della sua prolifica e maturata band. Venti minuti di chiacchierata (ti ho risparmiato, Patrick! n.d. Dark Mayhem), e quest’ultimo non ha fatto che ribadire quanto detto da me in sede di recensione: “Wish for destruction”, con imminenza, è prossimo all’incendiare la scena italiana con un power metal moderno ed efficace. Alla band, le mie migliori lodi. A Patrick, la parola…
Intervista a cura di: Marco “Dark Mayhem” Belardi
Hail Patrick! Innanzitutto, è logico iniziare parlando di “Wish for destruction”, un disco che segna un’incredibile svolta stilistica all’interno del vostro sound. Quali sono le tue impressioni a caldo sul disco?
Siamo maturati molto dal primo al secondo disco, abbiamo subito un’evoluzione molto naturale, il feeling fra di noi è cresciuto, il nostro approccio al lavoro anche. Sono cambiate molte cose, lavoriamo in maniera diversa, e quindi i risultati si sono visti. Sono davvero molto soddisfatto del disco, di come sono andate le cose, e anche di come siamo cambiati.
Su “The legend begins” suonavate un power metal piuttosto canonico che si metteva in evidenza soprattutto a causa degli esperimenti vocali. Qual’è stato il momento in cui avete pensato che era ora di cambiare?
Penso che subito dopo l’incisione di “The legend begins” ci sia venuto spontaneo di incidere pezzi più aggressivi, a partire dai riff di chitarra, sino alle parti di tastiera, più incisive, più moderne, realizzate dal nostro nuovo tastierista Mark.
Ma questo approccio non lo avete intrapreso anche prima che uscisse “The legend begins”?
Si, avevamo in mente di produrre qualcosa di più pesante, ci abbiamo pensato, ma tutto si è concretizzato per il secondo disco. In quel periodo, poi, era da poco uscito “Afterlife” dei Nocturnal rites, ci è parso un capolavoro, lo stavamo tutti quanti ascoltando molto, e credo che anche questo ci abbia potuti influenzare in quella direzione.
La tua voce mi ha particolarmente sorpreso, sempre. Sul primo full-lenght sfidavi gli standard canori del power europeo, adesso hai aggiunto molta aggressività. Pensi che ciò sia dovuto anche all’aver partecipato al progetto Outbreak?
Quello degli Outbreak è stato un bellissimo progetto, realizzato assieme a dei musicisti di Roma, fra cui Francesco (Bucci, degli Stormlord n.d. Dark Mayhem). Credo che qualcosa possa avere influenzato il mio modo nuovo di cantare, ma tutto mi è venuto davvero molto spontaneo. In ogni caso, è stata un’esperienza bellissima, abbiamo realizzato tutto in tre giorni, per le registrazioni da Christian Ice, che ha fatto come sempre un gran bel lavoro. Ci siamo fatti il nostro viaggio in treno, abbiamo registrato in tre giorni, ed abbiamo dormito da Bucci, in quel periodo. Con lui ci siamo trovati benissimo, è un tipo molto simpatico.
Rimanendo in tema: parlaci di come si sta evolvendo la faccenda sul tema degli Outbreak. Una demo all’attivo, ci sarà anche un full lenght?
Guarda, non sto più seguendo il progetto Outbreak. Il leader è Francesco, e credo che tutto dipenderà da lui. Avevamo voglia di suonare qualcosa che fosse Thrashy, diverso da ciò che suonavamo solitamente, e lo abbiamo fatto in parallelo con le nostre band principali.
E se Bucci ti chiamasse per chiederti di andare avanti?
Beh, se ci fosse la possibilità di realizzare un full lenght per una casa discografica…perchè no?
La vostra line-up ha subito alcuni assestamenti importanti. Puoi presentarceli, facendo riferimento in particolare al batterista Destruction?
Beh, diciamo che Destruction è un po’uno pseudonimo di uno pseudonimo: spiega cosa ruota dietro alle pelli dei Beholder. Tempo fa suonavamo con l’ex batterista dei Node, Giannini. Ora siamo tornati con lui, che ha firmato un contratto per la nostra band fino al termine dell’anno. Poi vedremo. Al momento sta suonando con noi dal vivo, dato che ha lasciato i Node, ma sul disco suona un turnista. Solo che per ragioni di contratto non possiamo rivelare pubblicamente il suo vero nome, non tanto per noi ma perchè lui ha un contratto da rispettare. Credo che comunque il nome Destruction vada bene, ha fatto un bel lavoretto, no?
Almeno questo concedimelo: è un volto noto della scena metal italiana?
Mooolto noto! (e qua, pensando al termine “pseudonimo di uno pseudonimo, può venire in mente che Destruction sia anche lo pseudonimo di un drummer celebre che anche nella sua band principale porta un nomignolo: ma terminiamo le indagini! n.d. Dark Mayhem)
Parliamo di Leanan: sul primo disco la sua voce era interamente nel contesto. Adesso, con tutti questi spunti modernisti, la sua presenza rimane di valore immutato all’interno del sound dei Beholder?
Beh, io ho letto la tua recensione. Siete stati velocissimi, è la prima apparsa su una webzine, mi è piaciuta, e l’ho trovata molto dettagliata. Ho letto cosa dici a riguardo di Leanan, e credo che il contrasto che indichi tu sia giusto, in un certo senso. Su “The legend begins” lei era molto inserita nel contesto: voce femminile, power metal canonico, un abbinamento più che giusto. Adesso che il nostro sound si è fatto più moderno, credo che però la faccenda principale rimanga sempre il contrasto fra me e lei, il gioco delle due voci. Lei ha ancora una volta cantato bene, ha fatto davvero una bella prova.
Andiamo sul tema della Dragonheart: quest’anno Paoli ha presentato i Doomsword, band di cui, sinceramente, si è parlato tantissimo. Qual’è la tua idea su questo gruppo di cui si dice un gran bene in giro?
Mi piacciono moltissimo. Non sono mai stato un appassionato di Doom, ma dato che sono molto epici, per me è stato tutto molto più facile. Mi hanno molto sorpreso, le loro atmosfere e la loro musica ti portano davvero a vivere ciò che descrivono, sono una grande band e credo che Paoli e la Dragonheart abbiano fatto una bella scommessa su di loro, con successo.
Recentemente “Wish for destruction” è stato presentato dal vivo al Transilvania live di Milano, se non erro. Com’è andata la serata?
E’andata molto bene. Abbiamo presentato il nuovo disco ed abbiamo suonato anche un paio di pezzi di “The legend begins”, dato che la gente continuava a chiederceli! C’era anche molta gente, e la cosa mi ha molto sorpreso, dato che contemporaneamente c’erano due concerti a Milano, quello dei Death SS e quello degli Ill nino. E quando c’è l’ingresso libero al Rolling stones, è davvero difficile fare pubblico in altri locali, a Milano. E’stata una grande serata, si.
Il power metal sta attraversando un periodo molto strano. Accusato spesso di essere un genere uni-direzionale, ultimamente pare che la scena europea si stia molto evolvendo o, se vogliamo, modernizzando. E’il caso vostro, dei Mob rules, e di tante altre band. Come vedi la situazione rispetto al periodo della riesplosione, ovvero il 1997-1998?
In quegli anni il genere è esploso, è stato assimilato, sono usciti tanti grandi dischi, e poi tanti gruppi fotocopia. E’logico che si parli di crisi del power, ma credo che tanta gente stia cambiando, forzata dal fatto che la scena si è un po’chiusa. E secondo me questo sarà un gran vantaggio per il power metal.
Veniamo ad un argomento molto esilarante: in sede di critica c’è chi ha definito il vostro nuovo sound vicinissimo al Thrash metal. Personalmente non condivido assolutamente, tu?
Sicuramente questo è un disco power metal, non ci sono dubbi. Credo che Matt (Treasure n.d. Dark Mayhem) abbia suonato molto aggressivo, e su alcuni pezzi ci sono delle parti che lontanamente possono far pensare al Thrash per la loro durezza, ma “Wish for destruction” è sicuramente un disco power metal. Magari può esserci qualche minima influenza Thrash, ma non si può assolutamente parlare di Thrash metal nel nostro caso (e qua divaghiamo su una recensione apparsa su una testata giornalistica che riporta, appunto, accenni al genere n.d. Dark Mayhem).
Dopo “The legend begins” mi aspettavo un altro disco relativamente canonico ma piuttosto moderno, invece avete proprio rotto gli schemi, specie per quanto riguarda il sound e non le strutture in sè.
Ci siamo presi una libertà totale in fase compositiva, quando andavamo a provare suonavamo quello che ci passava per la testa. Non ci siamo proposti di suonare un qualcosa di preciso, quello che c’è su “Wish for destruction” è solamente ciò che volevamo suonare al momento della composizione, ciò che ci sentivamo dentro.
Siete giunti al debutto nel 2001, adesso un nuovo disco è uscito. Dopo soli due album nel giro di due anni, continuate a considerarvi una formazione giovane ed inesperta o siete già a conoscenza piena dei vostri mezzi, tenendo magari conto di eventi come il Gods of Metal 2001 ed il grande interesse che ruota attorno ai vostri dischi?
Credo che in questo tempo la band si sia fatta molta esperienza. Abbiamo un nuovo metodo di lavoro, un approccio al lavoro diverso da quello che avevamo tempo fa, e soprattutto credo che finalmente siamo del tutto consci delle nostre effettive capacità. Siamo ancora una band giovane, si, ma col tempo credo che siamo maturati moltissimo sotto ogni aspetto, come gruppo.
Dato che in Italia pare praticamente impossibile emergere: cosa consiglieresti ai giovani gruppi per riuscire a giungere al contratto discografico e ad una promozione adeguata nel breve volgere di qualche anno?
In Italia fino a qualche anno fa era piuttosto facile riuscire a trovare ed a firmare un contratto per una casa discografica ed a produrre un disco power metal. Poi, credo che le label che effettivamente oggi fanno un buon lavoro in Italia siano fondamentalmente due, ovvero Dragonheart e Scarlet. Beh, a una band giovane, l’unica cosa che dico è “siate voi stessi”. Una band giovane non deve prefissare degli schemi da seguire, deve solamente suonare quello che vuole davvero suonare, agire di testa sua.
La vostra evoluzione è dovuta soprattutto agli ascolti dei singoli membri, ed in particolare dei compositori, oppure non avvertite particolari influenze esterne quando giungete alla composizione di nuovi brani?
Penso che contino molto entrambe le cose, come ti ho detto prima. Siamo molto aperti, ascoltiamo di tutto e non ci fissiamo mai su di un solo genere, anche perchè non porterebbe a nulla. Molte cose ci influenzano, si, ma poi alla fine su disco finisce ciò che ci sentiamo dentro, al momento di comporre e di suonare quando proviamo. Grazie per l’intervista e per la recensione, Marco. Ci sentiamo.