Artifact – My spirit is here

Stranissima, la proposta musicale degli Artifact. La band, un quintetto originario di Reggio Emilia, ha iniziato la propria carriera nel 1997, proponendo, secondo quanto dichiarato nel curriculum biografico allegato alla demo, un death/black metal melodico e grezzo. La direzione stilistica, però, dev’essere stata ampiamente mutata nel corso degli anni, in quanto ciò che viene messo in mostra su “My spirit is here” riassume soltanto in una piccolissima parte reminiscenze totalmente estreme, relegandole perlopiù a tre quarti delle linee canore ed all’oscurantismo totale dettato dalle atmosfere emanate dai sei pezzi (cinque songs più una traccia strumentale) inclusi nel lavoro. In effetti, gli Artifact sembrano nettamente voler basare il proprio bagaglio espositivo su di un heavy metal particolarissimo, oscuro, carico di piccoli riflessi doom (non propriamente Angelwitch, ma diretti comunque su di un heavy N.w.o.b.h.m. based spesso oscuro e lento), soventi riferimenti maideniani, e frequenti accelerazioni che, senza distogliere l’attenzione dal metallo più classico, mostrano comunque la presenza di una ben marcata componente estrema all’interno delle idee che gli Artifact hanno espresso nel songwriting di “My spirit is here”. Il lavoro, tuttavia, è strano, per certi versi indecifrabile: i due chitarristi, Fausto e Willy, si guadagnano il maggior merito, in quanto è dalla sezione delle sei corde che provengono le migliori notizie, riassumibili in un ottimo controllo delle sezioni melodiche ed in una varietà espositiva esagerata, incredibilmente dosata. Il disco, infatti, non annoia, ma d’altro canto non brilla, rovinato da una produzione approssimativa e da una serie di imprecisioni che ora vi descriverò. Da sistemare le linee canore di Greg, ottime nello scream vocals, ma non ottimali nè sui growl vocals quanto sulle sezioni cantate in pulito. Inoltre, del death-black metal melodico descritto sulla biografia in relazione alle tematiche musicali di “My spirit is here” non ce n’è traccia: non aspettatevi qualcosa a’la Dissection, God dethroned o Raise hell (“Holy target” in primis), bensì heavy metal melodico, malinconico quanto quello della scuola nordica (vedi gli Opthalamia di “Via Dolorosa”), ma dotato di frequenti accelerazioni che, a livello di metronomi, non superano i canoni dettati dal power o dal thrash più contenuto proposto dalla Bay area ottantiana. Buona la prova del batterista, Morgan, bravo su alcuni intermezzi di doppio pedale ma lievemente lineare sotto certi aspetti. In ogni modo, un lavoro sufficiente che, ad una band carica di buone idee come quella degli Arrtifact, non può che rappresentare un primario passo verso una maturazione che, purtroppo, sembra ancora lontana. Ottime le idee, espresse in un lavoro vario e godibilissimo, ma il resto rimane da assestare.