2002: gli Angel dust, fortemente attivi nel panorama metal tedesco, sono oramai prossimi alla riconquista di cult-band. La loro base stilistica li vede all’opera con un power metal condito di elettronica e thrash metal, la prima capace di donare alla formazione un tocco quasi progressive, ed il secondo fattore volto alle rimembranze di un passato oramai lontano e dimenticato dai più Gli Angel dust, prima dello scioglimento – la band, per chi non lo sapesse, si è riformata nel 1997, ma è attiva sin dalla metà degli anni ottanta – , erano thrashers convinti che mescolavano sapientemente speed metal alla Agent steel, thrash slayerano, ed una moderata dose di heavy-thrash che, nei suoi riffs e nelle sue articolate sezioni, non mancava di citare, stilisticamente parlando, una sorta di precursione del Jeff Waters che, anni dopo, avrebbe messo a ferro e fuoco l’audience coi suoi Annihilator. Non immaginatevi meri collegamenti con le melense atmosfere che impregnano i lavori del post – “Border or reality”: gli Angel dust di “Into the dark past” sono stati quelli capaci di sfornare il loro miglior lavoro, a dispetto dello scialbo disco thrash-oriented che è “To dust you will decay”, episodio che causò, assieme ad altre circostanze, lo scioglimento della band nel 1988. “Into the dark past”, prodotto con un budget limitato ma capace di dar vita ad un sound non affatto pessimo (molto presenti le linee di chitarra, ottimi i volumi batteristici, in primo piano esattamente come sul “Fragments of insanity” dei Necrodeath, mentre è abbastanza peccaminosa la registrazione, non chiara a dispetto di altri lavori usciti nel 1986), vede alla voce Romme Keymer, singer-chitarrista fortemente legato ai dettami screaming dell’epoca e continuamente a cavallo fra riproposizioni in falsetto e classiche linee canore thrash, non troppo esaltanti ma efficacissime ed aggressive. Sentire l’opening song “I’ll come back” (da notare lo splendido break di basso e batteria, che ricorda molto i primi Helloween per composizione e fattura), pezzo che segue la strumentale title-track, ed udire gli Angel dust in azione su linee six-strings slayerane coincise e veloci, appoggiate dal furioso batterismo di Dirk Assmuth, non preciso come al giorno d’oggi ma devastante e spesso attivo su metronomi di rullante superiori ai 180, fa una cera impressione. Il meglio del disco viene da “Legions of destruction” in poi, con un culmine compositivo che si verifica nella parte centrale del disco, e che, in un turbine di heavy metal e thrash/speed, celebra questo disco come uno dei prodotti più sottovalutati del 1986. Eterno lavoro che tutti i fans contemporanei degli Angel dust dovrebbero scoprire per valutare la vera ed originaria essenza di questa band.