Ecco un’altra di quelle band che, solo per convenzione, veniamo ad etichettare all’interno del cosiddetto filone del death metal melodico, che death non è sia per la mancanza di palesi riferimenti al purismo di tal genere che per i continui legami fra la proposta delle sue band ed il metal di stampo classico – prettamente in direzione di certi rami del power. Sto parlando degli Adimiron, formazione proveniente dal Sud Italia e più precisamente da Brindisi, ed autrice di questo suo secondo lavoro – intitolato “Eclipse” – successore del demo di debutto “Everlasting fight”, concept album sulla lotta fra bene e male. Gli Adimiron, già attivi dal 1998 col monicker Angels of darkness, rimandano il pensiero al periodo 1997-1999: il filone power neoclassico stava rinascendo in maniera palese, fino ad esplodere grazie alle gesta di Stratovarius e Sonata arctica, ed in Scandinavia, in terre offuscate dal dominio dello Swedish Death e dei vari successori dei Dissection, nacquero marchi di fabbrica oggi celebri in tutto il mondo: uno di questi, i Children of Bodom, è il padre ispiratore degli Adimiron. Assieme a Laiho & co. troviamo invece Norther, Ensiferum, Neglected fields e soprattutto – per le atmosfere oniriche di cui il disco non è di certo sprovvisto – Eternal tears of sorrow. Un alone denso di romanticismo avvolge “Eclipse”, fino a far rimembrare – per la continua proposizione di parti tastieristiche e spesso prettamente sinfoniche – persino l’operato dei nostrani Dark lunacy, sebbene in un contesto non doom-death ma principalmente di stampo Bodomiano. Leonardo Gioia e compagni si rivolgono soprattutto a “Something wild”, dimenticando i virtuosismi in eccesso di “Hatebreeder” e dello scialbo “Follow the reaper”, ma tenendo in grande considerazione la formazione finnica: la tecnica viene espressa in grandi quantità dal chitarrista Alessandro Castelli, vero perno del disco per quanto riguarda la sua sezione strumentale ed autore sia di velocissimi fraseggi chitarristici degni dello shred più efferato, sia di parti contenute, leads atmosferici, tocchi vincenti sulla sei corde. Un vero protagonista, affiancato dallo scream feroce ma lievemente forzato e non propriamente incisivo di Leonardo Gioia, il cui lavoro è decisamente vicino all’operato del singer degli Ensiferum, sebbene non si vengano a toccare da vicino contesti epici. Le atmosfere sono apocalittiche, nere, mai eccessivamente crude ma dosate e visionarie, mentre è ammirabilissimo il bagaglio tecnico dei quattro, ben preparati su tutti i frangenti ma penalizzati da una produzione che non predilige affatto – come dovrebbe essere – i volumi delle ritmiche di chitarra per quanto concerne la fase di mixaggio. Ottimi anche gli sporadici riferimenti nei confronti della scena heavy-power, di cui troviamo un sentore nei confronti del primo settore citato ed una chiara riproposizione degli stilemi del secondo, soprattutto per quanto riguarda proprio il lavoro di Alessandro Castelli. “Obsessive insanity”, infine, tributa anche il black metal sinfonico, rivolgendo lo sguardo della band in direzione dei primi Seth, degli ultimi Anorexia Nervosa e dei Cradle of filth di metà corso. Nulla, però, di così paragonabile al Black Metal – come molti hanno sottolineato in sede di recensioni e di opinionistica – è compreso in questo pur buon lavoro. C’è tanto da lavorare per rendere migliore la scorrevolezza del disco, ma nel frattempo un secondo passo è già stato fatto, con un miglior supporto promozionale nei confronti di quanto era stato eseguito per “Everlasting fight”, e con una professionalità invidiabile. Le stelle nascenti non sorgono da sole, soprattutto in un territorio difficile come quello dell’Italia, un paese minato da mille concorrenze e da scarne promozioni, ma gli Adimiron, di questo passo, presto diverranno una realtà non trascurabile del nostro paese.