Vi confesso che il nome di questo gruppo è stato per me ignoto fin quando l’onnipotente (!) Marco Belardi (modestamente! n.d. Dark Mayhem) mi ha consegnato il pacchetto promo di “Through The Cracks Of Death”, ma leggendo le note esposte nella biografia ho saputo subito di avere a che fare con tutt’altro che dei pivellini all’esordio: infatti non solo gli Abscess hanno già alle spalle ben sei releases ufficiali, ma tra le loro file militano ex membri di Hexx ed Immortal Faith nonché Chris Reifert e Danny Coralles, rispettivamente cantante/batterista e chitarrista dei seminali Autopsy… niente male per dei perfetti sconosciuti. E sapendo quali sono i curricula vitarum (scusate se è poco…) di tali artisti non è poi tanto difficile immaginare quale tipo di musica propongono: Death Metal marcio, incontaminato ed assolutamente alieno da melodie e sperimentalismi assortiti, proprio come insegna la vecchia scuola appartenente all’inizio della decade passata. I suoni sono sporchi e corredati da frequenze basse in netto risalto che ben si sposano con delle composizioni semplici, grezze e con un tetro feeling di fondo che riporta alla mente (pur con le dovute proporzioni) gli alfieri del Death primigenio quali Obituary o i succitati Autopsy (soprattutto). Scordatevi le mostruosità tecniche di gruppi come Cannibal Corpse o Suffocation, gli Abscess preferiscono avere un approccio più istintivo, più primordiale, più “rock’n’roll” se mi passate il termine, ma purtroppo l’immediatezza e l’impatto che sprigionano le undici canzoni di questo lavoro lasciano parecchio a desiderare e cedono la scena ad una ben più che rilevante scontatezza che rende molto arduo l’ascolto filato dei 44 minuti di “Through The Cracks Of Death”. Alcune tracce come “Tomb Of The Unknown Junkie”, “Die For Today” e “Monolithic Damnation”, dalle quali fuoriescono echi settantiani di chiara ispirazione sludge-doom, non sono per niente male, ma i pezzi meritevoli di stima sono episodi isolati, quantitativamente insufficienti per poter risollevare le sorti di un lavoro mediocre come questo, un lavoro il cui limite principale è proprio un songwriting che non funziona come dovrebbe, avido di tutta l’“orecchiabilità” che questo tipo di musica necessiterebbe per far scuotere la testa dell’ascoltatore. Rimandati.