Murder of God – Murder of God

Cover
Tracklist
1 – Marriage in black
2 – I was so lonely in the dark
3 – Dies irae
4 – The murder of God
5 – Into the crypt of De Profundis
Recensione
Genere: Heavy metalI Murder of God nascono nell’autunno del 2000 a Pesaro per opera di Davide Margiotta (ex Dragon’s Lord), che si trova in questo demo a cantare ed a suonare prima chitarra e basso. La line-up prevede attualmente solo un altro membro, Mr.Fake, a cui spetta il compito di suonare la chitarra ritmica e di programmare (perché suonare non sarebbe il termine più adatto…) una drum machine. “Murder of God” è stato registrato nel giugno 2001 utilizzando un minidisc a quattro piste, per poi essere finalizzato nello studio di Simone Cossignani per l’engineering, con un risultato tuttavia buono confrontato alle altre demo che fino ad ora mi sono state recapitate. Nella bio che ci è stata fornita dalla band è specificato che “l’intento è quello di suonare puro e semplice heavy metal”; l’obiettivo è stato sicuramente raggiunto, dal momento che i brani proposti, nella loro semplicità, vantano tutti di riffs coinvolgenti e di ritornelli che rimangono stampati nella testa, proprio come i “guerrieri del mondo” capitanati da De Maio ci hanno insegnato nel corso degli anni… Ma se i Manowar sono i più grandi ispiratori di Davide per quanto riguarda la musica, ciò non avviene con le lyrics, almeno apparentemente ben più impegnate di quelle degli statunitensi: “MOG” è infatti da considerarsi come un mini-concept che tratta dell’omicidio di Dio da parte dell’uomo, cosa ben più laboriosa ed originale dei soliti temi riguardanti la superiorità maschile nei confronti della donna o che inneggiano alla fratellanza tra metallari. Uno dei punti di forza del demo in questione è l’ottima voce di Davide, che oscilla tra il cantato di Eric Adams e quello di David DeFeis (escludendo naturalmente gli acuti e la inarrivabile estensione vocale dei due singers), fino a ricordare il nostrano Steve Sylvester. Ma tra elogi e lodi non posso fare a meno di dire che ancora la strada da fare è molta: i pezzi sono troppo legati a ciò che è stato già proposto in passato, negando ancora la maturità di cui ogni band ha bisogno per poter emergere. La strada giusta potrebbe essere quella di raggiungere un sound personale, cosa che verrebbe agevolata sicuramente dall’inserimento dei membri mancanti, indispensabili per eventuali concerti dal vivo e per giovare alla creatività nella stesura delle parti. Pesante è soprattutto l’assenza di un batterista, figura che donerebbe ai brani maggiore varietà e compattezza, riempiendo così quel senso di vuoto e di finto che la drum machine inevitabilmente provoca. Ma parlando e sparlando, quello che conta alla fine non è la bellezza delle songs? E’ vero, i Manowar sono unici ed in equiparabili nell’heavy metal, ma perché rifiutare della buona musica? Ascoltare per credere!