Virgo – Virgo

Chi aveva dubbi sullo stato di forma attuale di Andrè Matos (ex-Angra), o sulle doti di song-writer di Sascha Paeth (bravissimo produttore – Rhapsody, Kamelot, Angra – , e membro degli Heavens Gate), troverà una risposta su questo primo disco dei neonati Virgo, nel quale Andrè mette in mostra tutte le sue evidenti doti canore – pregevole la sua interpretazione -, ponendole al servizio di canzoni ben riuscite, che escono dalla sua penna e da quella del suo compagno di avventura. Un disco che mi è piaciuto davvero, semplice ma più profonde di quel che appare, che mi ha davvero colpito per la genuinità dell’ispirazione che ha portato alla scrittura delle canzoni e dall’ ottimo gusto per gli arrangiamenti anche quando la chitarra non è più chiamata soltanto a ruggire sull’audience.
Un lavoro che si muove su una sorta di rock melodico che trova il suo primo, macroscopico, riferimento nella musica che fu dei Queen ( “To Be” ). Ma non solo: possono essere rintracciate molteplici influenze, rielaborate dal duo Matos-Paeth. In effetti l’impressione che ho ascoltando il disco, è che Andrè e Sascha si siano divertiti a riprendere un po’ lo stile di ciò che andava in voga verso la fine degli anni ’70, e di riproporlo a modo loro. A riprova di ciò si potrebbero citare “Street of Babylon”, che a livello di groove si rifà alla dance music proprio dei 70ies; “Discovery” (queste due canzoni, a mio parere, sono le migliori dell’intero disco) che con quell’ harmonica nell’introduzione del pezzo mi ha portato inevitabilmente in mente Stevie Wonder; la conclusiva “Fiction” (nella quale tra l’altro si cimenta al canto anche lo stesso Paeth…) che pare proprio rifarsi allo stile del John Lennon di fine anni ’70. Ovviamente non mancano episodi più vicini all’Hard Rock come “Blowing Away”. Nota dolente è “Baby Doll”, che proprio non sono riuscito a digerire, forse a causa della sua attitudine “per forza” catchy…
Molto probabilmente il disco non godrà di vita facile, perché abbastanza distante da quanto i 2 avevano precedentemente proposto – e certamente distante dal “true-metal” – , ma mi sento comunque di consigliarlo a tutti coloro che hanno apprezzato canzoni proposte dagli Angra dell’era Matos quali “Wuthering Heights”, “Make Believe”, “Gentle Change” o “Rainy Nights” (queste canzoni, tra l’altro, possono fornire un’idea delle coordinate sulle quali si muove il disco. Soprattutto per le composizioni firmate dal brasiliano).
Consigliato anche, e forse soprattutto, a chi ha mente sufficientemente aperta da accogliere bene qualcosa di senz’altro valido, sebbene piuttosto distante da ciò che si è soliti ascoltare…