Transatlantic – Bridge Across Forever

Ho sempre pensato, fin dal loro album di debutto “SMPTe”, che i Transatlantic non vogliano introdurre alcunché nel panorama musicale internazionale, ma semplicemente divertirsi nel riproporre la musica con la quale ognuno dei componenti della band è cresciuto. Questa, che è poco più di un’impressione, trova peraltro forti conferme nella proposta contenuta in tutti e tre i lavori griffati “Transatlantic”: un progressive-rock fortemente ancorato agli anni ’70, le cui fonti di ispirazione non vengono granché nascoste. Quindi, giusto per citare le più eclatanti, accanto a suoni e melodie à la Genesis, possiamo trovare stacchetti à la Yes, con un gusto melodico vicino ai Beatles e delle ambientazioni pinkfloydiane a condire il tutto.
Lo sforzo di Morse, Portnoy, Stolt e Trewavas si concentra piuttosto nella riproposizione del “seventies-style” attualizzato tramite l’utilizzo di strumentazioni e tecnologie di oggi. Un po’ come a dargli una spolverata, insomma…
Bisogna dare atto a questa all star band (i membri provengono da band quali Dream Theater, Marillion, Flower king e Spock’s Beard) che l’obiettivo è stato raggiunto: anche questo “Bridge Across Forever” è un album che farà compagnia per molto tempo a tutti gli amanti di un certo tipo di intendere il progressive (a patto che non si sia alla ricerca del disco del millennio, perché a quel punto forse converrebbe cercare altrove…).
La seconda fatica in studio del combo euro-statunitense si fa ascoltare piacevolmente senza annoiare, è rilassato, elegante, davvero ben suonato. E sebbene un Portnoy alla batteria (che tra l’altro in varie occasioni si cimenta anche al microfono) in questo contesto non riesca ad esprimersi al meglio (Mike è sicuramente più a suo agio su basi maggiormente metal, dove il suo estro è libero di sfogarsi a pieno), a sopperire a questa magagnetta ci pensa l’ottimo gusto chitarristico di Roine Stolt e la dolce ed espressiva voce di Steve Morse (anche alle tastiere e al piano). Proprio quest’ultimo, con la sua interpretazione, impreziosisce una composizione già di base molto valida: la ballata acustica del disco, che funge anche da title-track.
Siccome sono fermamente convinto che cercare di descrivere in poche righe 3 suite che durano in media più di 20 minuti abbia poco senso, mi limito a consigliarlo a tutti i nostalgici dei ’70, e a tutti coloro che sono alla ricerca di un bel disco, a prescindere dal tasso di innovazione-originalità proprio dell’opera (che in questo caso è davvero bassino…).