King Diamond – Abigail II

L’impresa nella quale King Diamond si è imbattuto annunciando la produzione del seguito di una pietra miliare come “Abigail” non è certo cosa da poco. Si direbbe quasi possa trattarsi di una proclamazione folle, una mossa a rischio degna di Custer, ma da King Diamond ci siamo sempre aspettati grandi lavori, ed il Re Diamante è sempre stato capace di sfornare, anno dopo anno, Mercyful fate o no, grandi lavori degni del suo sinistro nome. Ed è così che, mentre tutti si aspettavano un clamoroso e tentato atto di clonare il suo seminale capolavoro, da King Diamond è arrivata l’ennesima gemma senza che essa andasse a troncare il processo evolutivo del sound della sua omonima band. In effetti, parlare di solismo quando in un gruppo come il suo sono presenti nomi del calibro di Andy LaRocque, niente meno che l’ex chitarrista dei Death (attivo qui anche in fase compositiva), sarebbe effettivamente un’azione strana. Il tenebroso singer ha infatti prodotto un disco dall’imponente retrogusto ottantiano, senza però fare a meno di riferimenti modernisti, quali i soventi inserimenti di brevi ma efficaci parti di chiara ispirazione power o parti tastieristiche teatrali ed imponenti. Il Re, ancora una volta, ha rivestito il suo lavoro con pennellate nere, facendo trasudare di oscurità ogni lato della sua tenebrosa opera: l’heavy classico di “The storm”, i passaggi catchy di “Mansion in sorrow” o la indecifrabile “Miriam”, attraverso le loro note, catapultano l’ascoltatore dinanzi alle vicende della famiglia LaFey, che vedono al suo centro la misteriosa figura genitrice di Abigail. Il concept attraversa tutta la durata del disco, proponendo validissime song heavy metal come “Slippery stairs”, la powereggiante “The wheelchair”, ed il capolavoro “Spirits”, posta nella parte conclusiva del disco. Le note negative giungono in una modesta dose, presentando pezzi incompleti come “Miriam”, dotata di un riff ed un refrain di livello ma prolissa nel suo andamento, o le inconsistenti “Little one” e “The crypt”. Ottimo il lavoro chitarristico di Andy LaRocque, il quale si lancia in soventi intrecci chitarristici e duelli con il compagno Mike Wead; buono anche il drumming di Matt Thompson, forse troppo accostabile allo stile di Travis, ma sempre efficace, grazie a velocizzazioni devastanti come quella che accompagna il solo di “Slippery stairs” e fasi mid tempos di estrema e facile presa. Insomma, per concludere, il Re Diamante siede ancora sul suo trono, e spodestarlo sarà realmente dura, sino a quando esso continuerà a produrre lavori di questa qualità con tale frequenza. “Again she head a name….it was louder, but the same!”