Il suolo finlandese, negli ultimi anni, si è trasformato in una vera e propria miniera d’oro per quanto riguarda la nascita di realtà promettenti in ambito metallico. Se prima si parlava solo di Stratovarius, capaci nel 1997/1998 di contribuire alla rinascita allora quasi insperata del power metal, sono nate in seguito delle vere e proprie perle. E’il caso dei Sentenced, capaci di assumere una forma allo stesso tempo oscura, pesante, ma allo stesso tempo terribilmente diretta ed orecchiabile nei confronti del pubblico, ed è il caso, ancor più lampante, del filone di band nate dall’esplosione di gruppi come Thy serpent o Children of Bodom. I primi di questi due, infatti, diedero alla luce una strana forma di black metal dove comparivano le più disparate influenze, oltre ad una componente melodica dalle ampie vedute. I Bodom, invece, facendo perno sul loro incontrastato leader Alexi Laiho, sin dai tempi in cui suonavano sotto il nome Inhearted, hanno mostrato maturità stilistica, ed una grande capacità nel riuscire a fare del metal estremo un genere malleabile ed aperto ad un po’tutte le direzioni: vedi le vedute classiche, come il power o l’heavy ottantiano, oppure lo swedish death ed il thrash metal, il tutto coadiuvato da scream vocals ed un bagaglio tecnico descrivibile solo con aggettivi quasi divinificatori. Da quando i Children of Bodom sono nati, una densa nube di band hanno seguito il loro corso stilistico, e fra esse compaiono nomi interessantissimi come Ensiferum (volti ad un power-folk carico di riferimenti alla band di Laiho) e Kalmah. Questi ultimi, dopo un disco interessante come il debut album “Swamplord”, che conteneva song dinanzi alle quali stentavo a credere si trattasse di una band alle prime armi (vedi “Heritage of Berija” o “Hades”), hanno finalmente messo alla luce un seguito degno del loro principio musicale: “They will return”. Il disco si muove sulle medesime direzioni musicali del debut, in quanto troviamo ancora una soluzione prettamente Bodomiana, arricchita da fraseggi spesso più veloci ed un maggior numero di parti atmosferiche tastieristiche. Il livello qualitativo vede i giovanissimi musicisti ancora in ottima forma, come lo testimoniano le nove tracce contenute sul lavoro (otto nuove canzoni più l’ottima cover di “Skin of my teeth” dei Megadeth), sebbene compaiano ancora delle lacune ben chiare, facilmente riallacciabili alla giovane età dei membri del combo. Innanzitutto, è presente una ben visibile ripetitività in quello che la band propone, in quanto sin dal primo ascolto appare una certa somiglianza fra le strutture ed i riff di molti dei brani inclusi sul disco; quindi, il calo qualitativo che avviene nella seconda metà del prodotto, in quanto dalla title track in poi, di interessante troviamo soltanto la slayerana “The blind leader”, che risolleva la situazione forse solo per il discostamento da quanto svolto sino a quel punto dalla band. La prima metà del disco, ovvero quella che va da “Hollowheart” a “Human fates”, è comunque imcentrata su brani veloci, di ottima fattura e dalla facile presa sull’ascoltatore. Il capolavoro non è ancora alle porte, ma la band è giovane, e sicuramente i suoi due lavori sono la prova che questa è l’ennesima realtà interessante del panorama metal scandinavo. Per chi volesse avvicinarsi alla band, consiglio comunque il debut album “Swamplord”.