Slayer – Parte I

Parte prima – La storia e gli album

Questa sezione è suddivisa in ventidue piccoli capitoli e dodici recensioni. Il tutto ripercorrerà la storia degli Slayer per quanto essi hanno fatto, in carriera, dal 1982 al 2002. Venti anni di grandi successi e di capolavori.

Capitolo I: Premessa

La seguente biografia riporta la storia relativa alla carriera degli Slayer, probabilmente la più grande formazione di metal estremo presente oggi giorno sulla Terra, e sicuramente uno dei combo metal più importanti in generale. Attraverso questa biografia, ripercorreremo la storia del quartetto californiano, accompagnandola con recensioni, curiosità, statistiche e materiale visivo. Ci tengo a segnalare il sito internet www.slayer.net , sito ufficiale della band non più ricco di alcuni siti non-ufficiali ma ugualmente ricco di informazioni sul gruppo.

Capitolo II: La formazione

La storia degli Slayer ha inizio nel 1982, ad un solo anno dal debutto discografico, e soprattutto in una scena che, grazie soprattutto a loro, sarebbe mutata radicalmente di lì a poco. Suonare metal estremo, in quegli anni, era poco più che un concetto, un’idea, se riportata alla furia sonica delle generazioni stilistiche che sarebbero nate nel giro di qualche anno a causa degli enormi cambiamenti che, sia per il contributo apportato dagli Slayer che per le modifiche sonore messe in gioco da gruppi più o meno devoti all’operato di Kerry King (ex membro dei Megadeth) e compagni. Fu proprio Kerry (chitarrista) ad avviare la storia degli Slayer: avendo già suonato assieme a Tom Araya, cantante e bassista, egli decise di richiamare il noto musicista dalle origini sudamericane con sè, e si mise alla ricerca di altri due membri, i quali avrebbero ricoperto il ruolo dei due tasselli allora mancanti all’avvio della band. L’incontro con Jeff Hanneman, altro chitarrista, fu fortunoso, in quanto Kerry lo sentì suonare dall’interno della casa di quest’ultimo, conobbe in seguito la sua passione per il punk (una passione che tutt’oggi Jeff si porta addietro), e si accordò con esso perchè ricoprisse il ruolo di chitarrista nella nuova creatura, la quale stava sempre più assumendo una forma ben precisa. Il ruolo del batterista fu individuato nel nome di Dave Lombardo.

Capitolo III: Gli esordi

Gli Slayer iniziarono a suonare dal vivo nel 1982, suonando uno dei loro primi show – non è stato chiarito se fosse effettivamente il primo – alla scuola alla quale i membri della band erano iscritti nel giorno del 25 marzo. La band, fortemente legata alla N.w.o.b.h.m., suonava all’epoca cover di formazioni note incluse in tale movimento come Iron maiden e Judas priest, ed in aggiunta a queste, cover punk. La band ebbe la fortuna di suonare in un club chiamato Woodstock, dove fu seguita da Brian Slagel, possessore della casa discografica Metal blade (oggi una delle più importanti al mondo, in ambito metal). Slagel rimase impressionato positivamente dallo show offerto dai quattro, fino al punto di dar loro modo di comparire su una traccia della compilation – terzo volume – Metal massacre, un’importantissima serie che in America, negli anni ottanta, ha fatto la fortuna di molte band oggi considerate di “culto”. Gli Slayer incisero dunque “Aggressive perfector”, prima song da loro scritta, e la destinarono a tale compilation.

Capitolo IV: Il debutto

Il debutto discografico degli Slayer risentiva palesemente dell’influsso della N.w.o.b.h.m. La band diede luce a “Show no mercy” , primo disco da essi targato. Il lavoro uscì nel dicembre del 1983, ma ebbe seri problemi di distribuzione sul suolo europeo, in quanto vi giunse soltanto nel corso dell’anno successivo.

 

Show no mercy (1983)

Etichetta: Metal Blade

Cover
Tracklist
1 – Evil has no boundaries
2 – The antichrist
3 – Die by the sword
4 – Fight ‘till Death
5 – Metalstorm / Face the Slayer
6 – Aggressive perfector *
7 – Black magic
8 Tormentor
9 – The final command
10 – Crionics
11 – Show no mercy
12 – Chemical warfare ** = Le tracce indicate non sono presenti nell’edizione di base del disco, sebbene “Aggressive perfector” fosse già stata composta prima della stesura del materiale destinato ad uscire su “Show no mercy”. Le due canzoni, ufficialmente, sono comparse per la prima volta sulla scaletta di “Haunting the chapel”, four pieces del 1984.
“Show no mercy” è stato come un fulmine a ciel sereno comparso all’interno della scena heavy metal. Il metal classico mieteva vittime, ed i primi vagiti del metal estremo comparivano grazie alle imminenti esplosioni di combo quali Venom, Bathory o Exciter. Tuttavia, dischi come “Black metal” dei Venom o i debut albums di Exciter e Metallica risentivano fortemente della wave classica del metal, ed anche con “Show no mercy” non si arrivò a delineare di certo il concetto di thrash metal. “Show no mercy”, come “Kill ‘em all” o “Heavy metal maniac”, non è – a mio personale e contestabile avviso – un disco di thrash metal: heavy metal classico, suonato ritmicamente sulla scia dello speed tanto caro ai postumi Agent steel, e carico dei clichès già al tempo attribuiti al settore. Continui assoli incrociati di chiara derivazione Priestiana (Tipton e Downing sono sempre dietro l’angolo), vocalizzi alienanti in cui l’utilizzo del falsetto, da parte di Tom Araya, accorre con una frequenza incredibile, e ritmiche semplici, mai troppo tecniche, supportate da un drumming, quello di Lombardo, senza troppe pretese ma già ottimale sull uso del drum set (in “Show no mercy” Dave utilizza un solo pedale della cassa). Le canzoni, però, sono incredibilmente tutte dei classici. Pezzi veloci (“Evil has no boundaries” o “Black magic”, per citare i migliori) vengono alternati ad up-tempos ritmicamente sulla scia di quanto eseguito anni dopo dai primi Destruction (“The antichrist” o “Die by the sword”, tanto per mettere in mezzo due esempi), e ad episodi fortemente legati alla N.w.o.b.h.m., sui quali si erige la maideniana “Metalstorm / Face the Slayer”, canzone nella quale il Fantasma dell’opera dei Maiden pare apparire dietro al songwriting degli Slayer. Le prime critiche iniziano a piovere a sprazzi sulla band: testi immaturi e apparentemente innocenti, caricati dalla ripetizione di orpelli banali quali la presenza infinitesimale delle parole “Satan” o “Kill”, fanno però trasparire, ad esempio in “The final command” – pezzo peraltro bellissimo – il sospetto che di lì in poi legherà per tutta la loro carriera gli Slayer all’icona del nazismo, il movimento filo-nazista che la band, secondo alcuni detrattori, seguirebbe. Tuttavia, tutto è derivato – in parte – dalla passione di Jeff Hanneman per la tematica della guerra mondiale, spesso riportata nelle liriche. Tornando a “Show no mercy”, si tratta di un lavoro che tutti gli appassionati di thrash e di heavy classico devono assolutamente avere, specie coloro che apprezzano dischi come l’omonimo debut dei Nasty savage o “Tales of terror” degli Hallows eve.

Voto: 9,5

Capitolo V: Il primo tour

La band fissò, tramite Brian Slagel, alcune date americane per un tour di supporto al disco. Tuttavia, la band non possiedeva un tour bus, e dopo aver noleggiato un Van, per problemi di spazio ricorse all’aggiunta della Camaro di Tom Araya, membro più anziano fra i quattro. Il tour fu un successo ed un fallimento allo stesso tempo: gli Slayer vennero ben accolti, ma furono costretti a dormire – in alcune serate – a casa di individui del pubblico per problemi monetari. Gli Slayer, oltre a questo inconveniente, non vennero neppur pagati da Slagel al ritorno al tour. Ma in ogni caso, inconsapevolmente (per loro), egli stava lanciando i quattro verso l’imbocco del sentiero del successo. La band scrisse tre nuove canzoni, e le destinò alla realizzazione di un EP di transizione, intitolato – con un tipico nome da effetto – “Haunting the chapel”.

Haunting the chapel (1984)
Etichetta: Metal Blade

Cover
Tracklist
1 – Chemical warfare
2 – Captor of sin
3 – Haunting the chapel
4 – Aggressive perfector ** = La traccia indicata consiste in una canzone scritta molto tempo addietro, addirittura prima della songwriting session di “Show no mercy”. La canzone, peraltro, fu inserita nella compilation “Metal massacre 3” da Brian Slagel della Metal Blade.
“Haunting the chapel”. Non un disco fondamentale, in quanto solo due delle canzoni qui reperibili non sono presenti su altri dischi in studio. Tuttavia, un segnale di transizione che mostrava un ottimo passaggio dallo stato germinale della band sino a quello più personale, ovvero al punto in cui gli Slayer sono divenuti gli Slayer che tutti conoscono. “Chemical warfare” apre le danze, imponendosi come una delle più belle song mai incise dal quartetto. “Captor of sin” ed “Haunting the chapel” si assestano su livelli mostruosi, ed “Aggressive perfector”, pezzo scritto tempo addietro, chiude l’ EP mostrando una band, quella degli Slayer, che non sa sbagliare un colpo. Tuttavia, il materiale qui presente sarebbe potuto essere stato inserito con maggior successo e convenienza nella tracklisting del lavoro successivo, che a breve vi presenterò. Una strana mossa di mercato, non condivisibile per certi versi, ma di certo non trascurabile per ciò che contiene.

Voto: 8

Live Undead (1985)

Etichetta: Metal Blade

Cover
Tracklist
1 – Black magic
2 – Die by the sword
3 – Captor of sin
4 – The antichrist
5 – Evil has no boundaries
6 – Show no mercy
7 – Aggressive perfector
Brian Slagel, con “Live undead”, continuò a dimostrarsi ben poco generoso nei confronti degli Slayer – nonostante il fatto che, nel frattempo, il mondo intero andava conoscendoli – e produsse senza chieder loro il permesso “Live undead”, ovvero una studio session spacciata per disco dal vivo tramite l’intromissione di urla del pubblico e voci registrate altrove. C’è chi ha scritto di tutto, su questo disco, e mi sento di citare passaggi come “l’impressione è quella di trovarsi in un locale piccolo” o “l’atmosfera del luogo è incredibile”. Ebbene si, Slagel crebbe questa messa in scena spacciandola per Live album, e fece uscire così un disco di “ponte” fra “Haunting the chapel” e “Hell awaits”. La scaletta, tuttavia, è discreta, nonostante l’esclusione di pezzi quali “Chemical warfare” o “Tormentor”. Ma del resto, agli Slayer non c’è da imputare nulla. Mi sento di consigliare l’acquisto solo ai fanatici della band.

Voto: 6

Capitolo VI: La prima mutazione

Gli Slayer, col passare del tempo, iniziarono ad assumere una forma sempre più propria e personale. Il 1985 fu un esempio lampante di questo: abbandonati i clichès della N.w.o.b.h.m. , i quattro velocizzarono il proprio sound, estremizzarono la proposta, e pur rimanendo ampiamente riconoscibili si dimostrarono aperti a soluzioni di evoluzione. Il disco risultante “Hell awaits”, fu un sigillo che ancora oggi molti classificano fra le più belle release estreme degli anni ottanta, vendette centomila copie nel giro di pochissimo tempo, e portò la band a suonare al Dynamo ed ai contatti con Rick Rubin, produttore di Public Enemy, Beastie Boys e Run DMC.

Hell awaits (1985)

Etichetta: Metal Blade

Cover
Tracklist
1 – Hell awaits
2 – Kill again
3 – At dawn they sleep
4 – Praise of Death
5 – Necrophiliac
6 – Crypts of eternity
7 – Hardening of the arteries
Suoni più cupi rispetto a quanto fatto dagli Slayer in passato, pezzi più veloci, continui cambi di tempo, ed un approccio tecnico decisamente migliorato. Se Araya avesse cantato in growling, si sarebbe parlato di nascita del death metal, poichè, alzando i toni delle accordature, i riffs spesso sono i soliti che, a seguito, band come Possessed o Death avrebbero saccheggiato o esaminato per apportare personalità al sound del death floridiano. Tuttavia, il chitarrismo di Hanneman e King non è ancora perfezionato sui livelli per i quali conosciamo entrambi. I pezzi sono claustrofobici, oscuri, dannatamente pesanti. “Kill again” impressiona per il cantato ossessionante di Araya, “At dawn they sleep”, coi suoi continui riflessi di heavy classico, s’impone come un’altra killer track, ma il meglio viene offerto dalla title track, posta in apertura al disco, e dotata di un’intro stupenda. “Praise of Death” e la successiva “Necrophiliac” si confermano come i pezzi più veloci del disco, ma le liriche non accennano a migliorare, imponendosi come banali e prevedibili nella loro malvagia semplicità. Uno dei più grandi dischi degli Slayer, ma certamente non il migliore – sapete tutti il perchè. Importantissimo per lo sviluppo del thrash metal estremo – specialmente quello tedesco dei Kreator ed affini – e del death floridiano. Una tappa fondamentale per l’evoluzione del metal, ma gli Slayer non si sono fermati qui…

Voto: 9,5

Capitolo VII: La leggenda e le critiche

Gli Slayer hanno raggiunto uno status di band di culto con la produzione di quello che sicuramente rientra fra i cinque dischi metal più importanti della storia: “Reign in blood”. Se da un lato questo fattore incise positivamente sullo sviluppo della carriera dei quattro thrashers americani, dall’altro le critiche iniziarono a piovere pesantemente su di essi. “Angel of death”, song d’apertura del disco, fu correlata da testi che parlavano dei misfatti nazisti di Auschwitz. La faccenda legò ancor di più la band al nazismo, fattore dal quale ella si discostò negando di seguire il fenomeno, e parlandi di tale testo come di un testo descrittivo nei confronti di quanto avvenuto nel campo di Auschwitz. Inoltre, l’aquila presentata dagli Slayer in occasione di più artwork, il simbolo delle SS (“Schutz Staffeln”,le cosiddette squadre di protezione tedesche usate durante la seconda guerra mondiale)posto sul corpo della Jackson di Jeff Hanneman, ed il nome del fan club della band (Slaytanic Wehrmacht) non fecero che alimentare tali proteste, legabili – a quanto pare – a semplici ma forti passioni adolescenziali nei confronti del tema della guerra. “Reign in blood”, come era avvenuto per “Show no mercy”, uscì in America solo nel 1987 a causa di problemi di distribuzione, e vendette nel giro di poco tempo la bellezza di cinquecento mila copie, donando alla band il suo primo disco d’oro. I problemi, tuttavia, continuarono sulla scia del successo: Dave Lombardo, a dispetto del grande legame che si era creato fra King, Hanneman ed Araya, iniziò ad avere problemi coesistenziali con gli altri tre, e lasciò la band, venendo sostituito dal batterista dei Whiplash, Tony Scaglione. Egli suonò con gli Slayer durante il tour di “Reign in blood”, ma sempre nel 1987 lasciò a sua volta la formazione – per problemi di bagaglio tecnico – causando il rientro di Dave.

Reign in blood (1986)

Etichetta: DefJam records

Cover
Tracklist
1 – Angel of Death
2 – Piece by piece
3 – Necrophobic
4 – Altar of sacrifice
5 – Jesus saves
6 – Criminally insane
7 – Reborn
8 – Epidemic
9 – Postmortem
10 – Raining blood
11 – Aggressive perfector *
12 – Criminally insane ** = La versione qui presente di “Aggressive perfector” è stata registrata durante la session di “Reign in blood”, e si presenta completamente differenziata dalla sua versione originale. “Criminally insane” presenta invece una mixed version realizzata sempre durante la medesima session.
Il trionfo del metal estremo. Un autentico capolavoro. E soprattutto, un enorme passo in avanti svolto dai quattro rispetto alle precedenti produzioni in studio: una registrazione ed un mixaggio praticamente perfetti (Rick Rubin ha svolto un lavoro incredibile, supremo), un approccio tecnico decisamente migliorato, e gli Slayer che assumono una forma finalmente propria. Accantonati i dettami stilistici della N.w.o.b.h.m. , in “Reign in blood” troverete soltanto thrash metal puro, con i suoi classicismi del genere e con le sue tipiche sferzate. Nessuno dei pezzi qui presenti è interamente mid-tempo based: tutte le canzoni presentano almeno un’accelerazione. E soprattutto, ogni riff è inserito perfettamente al suo posto, fa scaturire incredibili emozioni, e fonda le basi di quello che forse è il più grande disco che il metal estremo ha sinora partorito. Dall’acuto che apre “Angel of death” sino alla sfuriata finale di “Raining blood”, tutto sfiora la perfezione: Araya passa ad un cantato thrash di grande effetto, proponendo meno acuti che in passato, ma rivelandosi incredibilmente espressivo. Il guitar working delle due asce Hanneman e King si rivela perfetto, Lombardo inventa grandi partiture, non eccessivamente tecniche o complesse, ma azzeccatissime. Impossibile mettersi a fare un’analisi track by track di questo disco: ogni canzone è spettacolare, e gli episodi meno fortunati (“Epidemic” e “Reborn”) farebbero tranquillamente la fortuna di una band di livello medio – alto. I capolavori, tuttavia, sono individuabili nei nomi di “Angel of death”, “Altar of sacrifice”, “Postmortem” e “Raining blood”, songs sulle quali non possiamo che domandarci in che modo esse sono state concepite. Un must che ogni metallaro deve avere.

Voto: 10

Capitolo VIII: Il pomo della discordia

Dopo tre dischi iper-veloci, per gli Slayer veniva il momento di prendere una decisione: rimanere totalmente coerenti al sound inventato con “Reign in blood”, o cambiare strada per evitare di cadere nello scontato e di trovare le nuove releases sempre paragonate con quel masterpiece? La risposta alla domanda non era di certo facile, ma gli Slayer non ebbero problemi, ed andarono in parte contro i desideri della maggioranza dei fans. La risposta alla mia questione venne individuata in “South of heaven”, sesta uscita discografica del quartetto di King, e quarto full lenght effettivo, quasi interamente scritto dal duo Hanneman – Araya, e completamente diverso dal suo predecessore: il riffing rimase simile, ma le ritmiche, nei suoi metronomi, cambiarono verso la direzione di pezzi decisamente più lenti, riflessivi, spesso incentrati sulla melodia. I fans, inizialmente, odiarono questo disco, rivalutato col tempo dalla maggiorparte di essi. Anche i testi mutarono, passando dall’essere incentrati su tematiche banali come il satanismo e l’horror più splatter su lidi adiacenti la guerra ed i suoi derivati. Il nazismo, tuttavia, tornò a presenziare nel booklet, apparendo importante nelle lyrics di “Behind the crooked cross”, testo che dimostrò però che la band non consisteva in quattro nazisti, ma il contrario. Tuttavia, gli Slayer divennero idoli per gli Skinheads di mezzo mondo, e le problematiche continuarono ad affiorare minacciose nei confronti dell’ensemble californiano.

South of heaven (1988)

Etichetta: DefJam records

Cover
Tracklist
1 – South of heaven
2 – Silent scream
3 – Live undead
4 – Behind the crooked cross
5 – Mandatory suicide
6 – Ghosts of war
7 – Read between the lines
8 – Cleanse the soul
9 – Dissident aggressor
10 – Spill the blood
Altra grande produzione firmata Rick Rubin: gli Slayer, come ho accennato in precedenza, hanno saputo coraggiosamente cambiare pelle tramite l’uscita di “South of heaven”, dimostrandosi capaci di suonare ottime mid-tempos a dispetto della perfetta furia sonica espressa solo due anni prima su “Reign in blood”. La scelta intrapresa dai quattro non fu ben accolta dalla band, ma tuttavia “South of heaven” resta un capolavoro. Della velocità rimane solo un barlume, avvertibile su pezzi furiosi come l’ottima “Ghosts of war”, avviata su volumi bassi per poi procedere con una fase distruttiva degna del nome degli Slayer. Tuttavia, i pezzi memorabili come erano stati in passato “Hell awaits” o “Angel of death” sono qua materializzati negli episodi più lenti: la title track si apre con uno dei riffs più belli mai scritti dagli Slayer (questo è stato scritto da Jeff Hanneman, a mio avviso il migliore songwriter della band, nonostante come chitarrista esso si trovi una spanna sotto a Kerry King), “Mandatory suicide”, invece, viene ancora oggi riproposta dal vivo durante gli show della band. “Behind the crooked cross” e l’ossessionante “Spill the blood” si propongono come gli altri pezzi forti del pacchetto, mentre “Dissident aggressor”, cover dei Judas priest, mostra l’inossidabile legame presente fra la band di King e la formazione inglese di Tipton e K.K. Downing. Sottotono solo “Live undead” e qualche sporadico episodio, unico fatto che rende “South of heaven” un capolavoro che comunque non raggiunge i paranormali livelli qualitativi delle prime tre releases.

Voto: 8,5

Capitolo IX: Sull’onda del successo

La band, dopo l’uscita di “South of heaven”, realizzò un grandissimo tour mondiale, il “World sacrifice tour”. Ma il meglio, incredibilmente, doveva ancora venire. Tutto sommato, la band era praticamente conosciuta in tutto il mondo. Adesso, in ogni caso, mancava un disco che mettesse d’accordo tutti, ovvero un bilanciamento fra le fasi veloci dei primi tre album e la melodia di “South of heaven”. Non ci furono problemi, gli Slayer parevano inarrestabili…

Capitolo X: L’episodio perfetto

Gli Slayer avevano ottenuto buoni responsi in seguito all’uscita di “South of heaven”, pur facendo storcere il naso a chi avrebbe desiderato un altro gioiello di furia sonica ricalcante i fasti di “Reign in blood”. “Seasons in the abyss” fu la risposta: metà dei pezzi furono veloci, sulla scia di quelli di “Reign in blood” ma con un mixaggio più vicino a quello dato da Rubin a “South of heaven”, ed i restanti melodici, mid-tempo based, incredibilmente d’impatto. Un album perfetto? No, ma se non altro, il disco che ha reso gli Slayer una delle band più importanti del globo. Un milione di copie vendute in pochissimo tempo, due milioni di copie vendute al giorno d’oggi. L’accoppiata Rubin – Andy wallace pareva non sbagliare un colpo, e gli Slayer vincevano disco d’oro e di platino. Il disco fu accolto da molti come il migliore della discografia, fu votato da Kerrang come disco dell’anno, ed avviò la saga dei testi basati sulle vicende dei serial killer, inaugurata da Tom Araya su “Dead skin mask”.

Seasons in the abyss (1990)

Etichetta: Def American

Cover
Tracklist
1 – War ensemble
2 – Blood red
3 – Spirit in black
4 – Expendable youth
5 – Dead skin mask
6 – Hallowed point
7 – Skeletons of society
8 – Temptation
9 – Born on fire
10 – Seasons in the abyss
A mio avviso, il punto di frattura fra gli Slayer di oggi e quelli del passato. Ancora forte, l’attitudine thrash, ma si avvertono grandi cambiamenti nell’aria. Il suono delle chitarre si fa corposo, più melodico, e la loro complessità raggiunge limiti incredibili in episodi come la title-track per la cura dei leads e per la meravigliosità delle strutture ritmiche. Il drumming di Dave Lombardo raggiunge livelli stratosferici per inventiva e potenza, e sul disco viene bilanciato il rapporto fra pezzi veloci e pezzi lenti. “War ensemble” apre il disco ricalcando lo schema di “Angel of Death”: sfuriata iniziale, due strofe veloci, fase mid-tempo e ripresa finale in up-tempo. Il risultato? Una delle migliori canzoni di sempre, per gli Slayer. Se su un braccio della bilancia risiedono le furiose “Spirit in black” o “Born of fire”, sull’altro, pezzi lenti come “Expendable youth” o “Blood red” meravigliano per la versatilità raggiunta sul piano compositivo dai quattro musicisti d’oltre oceano. Un disco perfetto, in pratica, per lo stile e per il dosaggio dei pezzi. Tuttavia, i capisaldi ci sono, ma non raggiungono numericamente quanto raggiunto su “Reign in blood” o “Show no mercy”. In ogni maniera, si tratta di un capolavoro, uno dei migliori dischi usciti negli anni novanta.

Voto: 9,5

Capitolo XI: Tempo di Live

L’era dei grandi concerti, per gli Slayer. Il Clash of the tyrans, oggi riproposto con un ampio numero di band thrash per offrire soldi in beneficienza a Chuck Billy dei Testament, malato di cancro, fu allora un trionfo nel nome degli Slayer. Ecco i nomi più importanti del bill. Per l’Europa, parteciparono Slayer, Megadeth, Testament e Suicidal tendencies. Per l’America, Slayer, Anthrax, Megadeth ed Alice in Chains (R.I.P. Laney). La band, poi, celebrò i dieci anni di carriera registrando un doppio disco dal vivo, “Decade of aggression”, che distribuì i video Live di “Black magic” e “Raining blood” su MTV ed aumentò in maniera iperbolica la popolarità della formazione. Di “Decade of aggression”, live del 1991, fu realizzata anche una videocassetta, primariamente non messa in circolazione.

Decade of aggression (1991)

Etichetta: Def American

Cover
Tracklist
Disco 11 – Hell awaits
2 – The antichrist
3 – War ensemble
4 – South of heaven
5 – Raining blood
6 – Altar of sacrifice
7 – Jesus saves
8 – Dead skin mask
9 – Seasons in the abyss
10 – Mandatory suicide
11 – Angel of Death
Disco 21 – Hallowed point
2 – Blood red
3 – Die by the sword
4 – Black magic
5 – Captor of sin
6 – Born of fire
7 – Postmortem
8 – Spirit in black
9 – Expendable youth
10 – Chemical warfare
Nota: I pezzi del primo disco sono stati tutti quanti registrati al Coliseum di Lakeland in data 16 luglio 1991. Quelli del secondo disco, invece, presentano una suddivisione in registrazioni estratte da ben due concerti, di cui troviamo tre tracce registrate all’ Arena di Wembley e le restanti a San Bernardino, in California. Tutti i pezzi sono stati suonati nel 1991 eccezion fatta per i tre suonati a Londra (Wembley), estratti dal concerto del 14 ottobre del 1990.
Inutile fare commenti particolari: “Decade of aggression” è un’ottima rappresentazione di ciò che gli Slayer sono stati nei primi dieci anni di carriera. Molti, forse troppi, gli estratti da “Seasons in the abyss”, ma tuttavia si trattava del tour promozionale di un disco che, in fondo, si è rivelato sin dall’inizio glorioso. Ottimo anche il suono, decisamente incentrato sulle chitarre, e l’interpretazione della band. Sentire Araya che presenta energicamente “Angel of Death” sul finire del primo disco mette i brividi, e li mette ancor più la straordinaria violenza con la quale gli Slayer propongono i propri pezzi clou di un repertorio già fantastico. Cinque album di cui troviamo cinque capolavori: non è da tutti. Amaro in bocca per l’assenza di perle quali “Tormentor” o “Kill again”, ma il resto scorre rasentando la perfezione.Voto: 9

Capitolo XII: Secondo addio di Lombardo

Dave Lombardo, improvvisamente, lascia la band. Kerry King e gli altri giustificano spiegando che si tratta del parto di sua moglie, e del maggior tempo che esso voleva dedicare alla propria famiglia. In verità, i rapporti fra Lombardo e gli altri membri degli Slayer non erano stati cristallini sin dagli anni passati (la prova è l’abbandono avvenuto durante il tour di “Reign in blood”). La ricerca del nuovo drummer, per gli Slayer, dura poco: dopo alcune inutili voci che volevano lo scioglimento della band, il nome emerge. Si tratta di Paul Bostaph, il quale aveva appena lasciato i Forbidden, ottima techno-thrash metal band della Bay area. Paul, per il provino, ricevette una lista di canzoni da suonare assieme agli Slayer in studio, alle quali egli aggiunse “Silent scream”, pezzo decisamente tecnico che volle suonare per dimostrare la propria bravura ai tre.

Capitolo XIII: Tour e scomparsa

La band, dopo l’assunzione di Paul Bostaph dietro alle pelli, si imbattè in un faticoso tour che la vide coinvolta dal vivo al Monsters of rock del 1992, tournèe che toccò paesi come Polonia, Repubblica Ceca, Germania ed Inghilterra. In seguito venne il turno del Donington, in cui gli Slayer suonarono per la prima volta assieme ad Iron maiden e W.A.S.P. Poi, la band scomparve fino al 1993, suscitando i sospetti dello scioglimento da parte del pubblico. A questo punto, la band tornò con la pelle mutata.

Capitolo XIV: Il ritorno

Gli Slayer tornarono sulle scene con la collaborazione, avvenuta in occasione della colonna sonora del film “Judgement night”, con il rapper Ice-T (nel 1993) per la song “Disorder”. L’interesse della band per questa corrente maturava, e sarebbe esploso solo anni dopo, con l’avvento del crossover in larga scala. Gli Slayer, all’improvviso, annunciarono l’uscita di un nuovo disco per il febbraio del 1994. Il disco, a causa di problemi con la casa discografica, fu rimandato all’estate, e quindi nuovamente in là, ad ottobre, per evitare che esso uscisse in un periodo scarno per il mercato come quello estivo. “Divine intervention” venne considerato da molti come un secondo capitolo di “Reign in blood”: il disco era veloce, caricato di testi folli e violenti. La band aveva registrato uno degli episodi più violenti della sua carriera, nonostante i dodici anni di attività. Il disco vendette la bellezza di ottocento mila copie negli USA dopo pochissimo tempo, entrando all’ottavo posto delle classifiche di vendita dopo una sola settimana con ben centomila copie vendute. Il record di “Seasons in the abyss”, tuttavia, rimase invalicato.

Capitolo XV: Ennesimi disguidi e tour

Il testo della canzone “SS-3” portò non poche critiche agli Slayer. La band venne giudicata da Max Cavalera dei Sepultura come una formazione di Nazisti, nonostante gli ottimi rapporti che avevano legato i due gruppi sino ad allora. Cavalera e gli Slayer arrivarono a odiarsi. L’ “European intourvention” si avviò, con gli Slayer accompagnati dai Machine head (storica la cover dei Venom – “Witching hour” – dove Robb Flynn canta assieme alla band di King) e con “Live intrusion”, primo homevideo realizzato dai quattro, realizzato nel corso del tour successivo (1995) promosso in compagnia di Machine head e Biohazard. La pellicola conteneva immagini dal vivo e scene girate dalla band off-stage. La band, nel 1995, suonò a Donington ottenendo un responso incredibile.

Divine intervention (1994)

Etichetta: American recordings

Cover
Tracklist
1 – Killing fields
2 – Sex, murder, art
3 – Fictional reality
4 – Dittohead
5 – Divine intervention
6 – Circle of beliefs
7 – SS-3
8 – Serenity in murder
9 – 213
10 – Mind control
L’album più violento degli Slayer dopo “Reign in blood”. Fortemente apprezzato dalla critica alla sua uscita, il disco è stato ridimensionato in negativo nel corso degli anni novanta, ed oggi molti lo vedono come il peggiore sinora realizzato dalla band. Tuttavia, si tratta di un ottimo disco, contenente pezzi che esprimono violenza enaudita ed un ottimo songwriting. Ma le idee, purtroppo, non sono quelle che avevano contraddistinto la magnificenza compositiva dei primi cinque lavori. “Dittohead” è il pezzo più veloce sinora composto dalla band assieme alla malata “Necrophobic”. Assieme ad essa, anche “Serenity in murder” viene selezionata per la realizzazione di un videoclip, meno violento del precedente, ma altrettanto buono in quanto al successo riscosso nelle rotazioni televisive di allora. Ottime anche “Sex, murder, art” e “213”, ma non mancano di certo i pezzi di medio livello. Chiude il lavoro “Mind control”, validissimo sigillo di una band oramai consacrata al successo. Non solo per i fan: si tratta comunque di un ottimo lavoro che purtroppo risente fortemente dei suoi predecessori.

Voto: 8

Capitolo XVI: Emerge l’attitudine punk

L’attitudine punk degli Slayer – ed in particolare quella di Jeff Hanneman – emerse fortementenel 1996, anno attivissimo di cui ritengo di dover segnalare molte cose. Innanzitutto, il sorgere di molti problemi fra il drummer (un ruolo maledetto) Bostaph e gli altri: Paul lasciò la band quando il “nuovo” disco era pronto, costringendo i tre a rimpiazzarlo con John Dette, valido batterista allora in forza nei Testament. Dette registrò con la band “Undisputed attitude”, disco più contradditorio degli Slayer: tre canzoni nuove (“Ddamn”, “Can’t stand you” e la fantastica “Gemini”, allora scritta per una soundtrack mai uscita sul mercato della quale non conosciamo neppure il nome) ed il restante materiale composto da cover punk di gruppi storici come quello dei Minor threat.

Undisputed attitude (1996)

Etichetta: American recordings

Cover
Tracklist
1 – Disintegration free money
2 – Verbal abuse leeches
3 – Abolish government superficial love
4 – Can’t stand you **
5 – DDamn **
6 – Guilty of being white
7 – I hate you
8 – Filler I don’t want to hear it
9 – Spiritual law
10 – Sick boy *
11 – Mr. Freeze
12 – Violent pacification
13 – Richard hung himself
14 – I’m gonna be your God
15 – Gemini
16 – Memories of tomorrow ** = “Sick boy” è disponibile solo sull’edizione distribuita in Europa e Giappone. “Memories of tomorrow” soltanto su quella nipponica nel disco, sempre in qualità di bonus-track.
** = Written by Slayer
Il disco più contestato dai fan. Gli Slayer si mettono a suonare punk, proponendo due song scritte da Hanneman nel periodo in cui egli era adolescente, ed una nuova in Slayer style, ma mid-tempo based e controversa quanto oscura. Il resto consiste in cover più o meno valide, sulle quali spicca la magnifica “I hate you” dei Verbal abuse. Compaiono anche cover dei D.R.I., e di Iggy Pop (“I’m gonna be your God”). Il disco, tuttavia, ha venduto ben 750000 copie in tutta l’America. Per molti, un fallimento. Provare per giudicare, basta non pensare allo Slayer sound mentre lo si ascolta. Lavoro che avrà sicuramente avvicinato molti punkers alla band californiana, ma ininfluente in positivo su una carriera, quella degli Slayer, costellata da episodi sicuramente migliori.

Voto: 6,5

Capitolo XVII: Il ruolo maledetto

Come ho accennato prima, il ruolo del batterista, nella band degli Slayer, era maledetto. John Dette litigò con Tom Araya durante il tour di accompagnamento di “Undisputed attitude”, tour che vide la band partecipante ad un paio di festival estivi. Il rimpiazzo fu nuovamente l’ex Forbidden Bostaph, il quale nel frattempo aveva abbandonato il suo progetto, The truth about seafood, da lui creato subito dopo l’abbandono nei confronti degli Slayer datato 1996. Paul rientrò negli Slayer nel gennaio del 1997, ed un nuovo disco si avvicinava. 1997: anno dell’ennesima song da colonna sonora. E’il turno della collaborazione con gli Atari teenage riot, e la song si chiama “No remorse (I wanna die)”, pezzo odiato da molti fan.

Capitolo XVIII: Le critiche piovono

Prima la collaborazione con Ice-T, poi il disco punk, quindi la collaborazione con gli Atari teenage riot e l’elettronica. I fans iniziarono a far piovere critiche sulla band, ed esse caddero in maniera torrenziale. Il danno pareva irreparabile. In molti scommisero che il nuovo disco degli Slayer, fissato per il 1998, non sarebbe stato all’altezza del nome che lo avrebbe realizzato.

Capitolo XIX: La musica del diavolo

Un artwork sicuramente discutibile, un’attitudine fortemente malvagia, e gli Slayer se ne tornano sul mercato con “Diabolus in Musica”, spazzando via ogni critica. La band, in seguito, va in tour nel 1999, inizia a lavorare su del nuovo materiale all’inizio del 2000, e torna in tour in estate per moltissime date, fra cui segnalo quella del Gods of metal monegasco a fianco degli Iron maiden.

Diabolus in musica (1998)

Etichetta: American recordings

Cover
Tracklist
1 – Bitter peace
2 – Death’s head
3 – Stain of mind
4 – Overt enemy
5 – Perversions of pain
6 – Love to hate
7 – Desire
8 – In the name of God
9 – Scrum
10 – Screaming from the sky
11 – Wicked **
12 – Point
13 – Unguarded instinct ** = Versione giapponese del disco
** = Versione giapponese ed europea del disco
La componente hardcore aumenta all’interno del sound degli Slayer, ed il thrash si ritrova a comporre solo una parte del suo tassello definitivo. “Bitter peace”, tuttavia, fa pensare all’opposto, aprendo il disco nel segno di ritmi veloci a’la “War ensemble”. Il resto del disco scorre spesso lento e tortuoso, eccezion fatta per episodi singoli come la valida “Scrum”. Bellissima “Stain of mind”, pezzo dove il crossover fa capolino prima di irrompere definitivamente in “Love to hate”, brano contestatissimo dagli Slayer maniacs di tutto il mondo. Altri pezzi di rilievo sono “Perversions of pain” e “Point”. Il resto forma un disco di buona fattura, ma sicuramente il peggiore – fra quelli contenenti materiale proprio – sinora realizzato dai quattro. Importantissimo, però, nel segno dell’evoluzione di una band che ha apertamente dichiarato di non volersi fossilizzare su cose già dette e ridette per cadere vittima della ripetizione di certi schemi. Band coraggiosa, ma non sempre rischiare porta a risultati idilliaci: “Diabolus in musica” nè è la prova definitiva.

Voto: 7,5

Capitolo XX: Il disco più rimandato

Dopo l’uscita, nel 2000, di “Bloodline” per la soundtrack “Dracula 2000”, la release di “God hates us all”, ottavo full-lenght degli Slayer se si esclude il disco di cover “Undisputed attitude”, è stata rimandata numerose volte prima che esso potesse finalmente vedere la luce. I problemi, come al solito, sono stati quelli legati alle case discografiche e di distribuzione. Oltre a questi, la band si è ritrovata coinvolta nell’accusa – derivata da un caso svoltosi anni prima – rivolta ad essa per l’omicidio commesso da alcuni ragazzi i quali erano fan degli Slayer. La band, per i suoi controversi testi, è stata accusata di istigare all’omicidio i giovani. Accusa prontamente respinta, dopo numerose sedute, dal tribunale, nonostante la cosa fosse ben chiara. Del resto, finchè la gente penserà che la musica possa influire sulle persone al posto della debolezza mentale e dell’instabilità di queste, il metal correrà sempre gravi rischi – basti vedere il trattamento che ci sta riservando MTV in questi anni. Tralasciando le opinioni personali, il disco ha visto la luce nel corso della seconda metà del 2001. In America, l’11 settembre, il fatidico e nero giorno in cui le forze di Bin Laden hanno attaccato l’America distruggendo il Pentagono e le Torri Gemelle di New York. La coincidenza è stata pesante, e la band ha visto i festeggiamenti relativi all’uscita del nuovo album distrutti da una tragedia pesantissima. Passato il periodo negativo, i nostri si sono imbattuti in numerosi tour fra cui segnalo l’ “Extreme steel attack” ed il “Tattoo the planet”, il quale ha toccato l’Italia nella data milanese del diciassette ottobre (Palavobis).

God hates us all (2001)

Etichetta: American recordings

Cover
Tracklist
1 – Darkness of Christ
2 – Disciple
3 – God send Death
4 – New faith
5 – Cast down
6 – Threshold
7 – Exile
8 – Seven faces
9 – Bloodline
10- Deviance
11 – Warzone
12 – Here comes the pain
13 – Payback
14 – Scarstruck *
15 – Addict ** = Uscite solo in America, e disponibili in Italia sono in una versione digipack del disco contenente materiale video, la quale ha visto la luce nella primavera del 2002.
Il miglior disco scritto dagli Slayer negli ultimi dieci anni. “Disciple” lo apre presentandosi come la “War ensemble” del nuovo decennio, “God send Death” porta fraseggi elettronici ed un suono dannatamente moderno. L’anima thrash-hardcore della band divampa come un incendio, e pezzi come “New faith” o “Exile” vengono subito accolti come incredibile perle slayerane. Outsider semi-crossover come “Threshold” dividono il responso della folla, e le già conosciute “Bloodline” – “Here comes the pain” ottengono ottimi risultati anche in sede live. Il disco si chiude con “Payback”, pezzo che ricalca la scia di “Angel of Death” nella sua parte più veloce. Ottimo lavoro, contestato da una piccola fetta di fan, ed accolto a braccia aperte dal resto. Ottimi anche i risultati di mercato. Gli Slayer, a venti anni dalla loro formazione, mietono ancora vittime. Tuttavia, c’è chi continua a chiedere un “Reign in blood parte II” (O III, se si considera “Divine intervention” come un suo innaturale ma logico proseguimento).

Voto: 8,5

Capitolo XXI: Lombardo rientra

Paul Bostaph lamenta seri problemi ad un ginocchio. Oggi è ancora ignoto se egli abbia lasciato la band a causa di essi o per gli ennesimi problemi di coesistenza con gli altri. Fattostà che Dave Lombardo, nonostante le voci che volevano l’ingresso nella band di Proscriptor degli Absu (accantonato per la sua attitudine satanica, dice Kerry King), è tornato negli Slayer. Egli suonerà con la band fino a settembre, quindi gli Slayer decideranno il da farsi. Ma King, in occasione di alcune interviste, ha fatto sapere che Dave potrebbe rientrare nella band in pianta stabile, a dispetto dei suoi progetti laterali (Fantomas e, in primis, Grip inc.).

Capitolo XXII: Il presente

La band ha da poco suonato al Gods of Metal 2002 in qualità di headliner, assieme ai Manowar. L’esibizione è stata splendida. Lombardo continua a suonare con la band, che ha annunciato di avere del materiale pronto per il futuro disco, e che ha nel frattempo fatto uscire un’edizione extra di “God hates us all” contenente del materiale bonus. Vi terremo informati su MetalManiacs sul futuro della band…