Obituary

Ecco una raccolta biografica contenente le recensioni dei lavori della band di John Tardy. Il materiale è stato scritto interamente da Manuel Marini.

Slowly we rot (1989)

Grezzo, marcio, brutale. Si puo riassumere così il primo capitolo della carriera dei floridiani Obituary, gruppo seminale che ha contribuito alla formazione e all’evoluzione del death metal. In questo Slowly we rot, considerato da molti come il capolavoro della band, troviamo subito canzoni che sono diventate pietre miliari del death: Internal bleeding, ‘Til death o la stessa Slowly we rot. Ma quello che ha colpito di quest’album è stata la capacità degli Obituary di fornire un death metal cercando di allontanarsi dagli schemi di Death, Morbid angel o Deicide, pur fornendo un risultato eccellente. Tempi più lenti, riffs più pesanti e soprattutto la voce più marcia che il metal ci abbia mai fatto ascoltare, quella di John Tardy. Tuttavia Slowly we rot lascia trasparire ancora un forte legame al thrash più violento e malato, e parecchia influenza dai primi lavori dei Death, ma cmq apre uno spiraglio per quello che sarà la loro futura evoluzione. Fondamentale.

Voto: 8/10

Cause of death (1990)

Il capolavoro. Uno dei miei album preferiti in assoluto. L’album con cui gli Obituary sono stati consacrati alla critica mondiale. La produzione è migliorata parecchio rispetto a Slowly we rot e l’ingresso di James Murphy (Death, Testament) è la ciliegina sulla torta. Pesante, pesante, pesante, non ci sono altri aggettivi per definire quest’opera d’arte. Riffs mastodontici, continui cambi di tempo azzeccati e mai spiazzanti, song complesse ma dirette, geniale. Il suono assume più corpo rispetto a Slowly we rot, le chitarre del duo Peres/Murphy macinano tutto e il drumming preciso e pesante di Donald Tardy formano un carro armato inarrestabile. Soprattutto il suono delle chitarre e i riffs particolarissimi rendono questo album unico e inarrivabile, e gli esempi più lampanti li abbiamo in songs come Chopped in half, Dying, Turned inside out o la titletrack. Analizzare ogni singola traccia è però abbastanza superfluo, visto che Cause of death non subisce nessun minimo calo di qualità in tutta la sua durata e mantiene alto il livello dall’inizio alla fine. C’è anche una stupenda cover di Cyrcle of the tyrants dei Celtic frost, posta a metà disco, che si adatta benissimo con le altre songs senza risultare superflua, ma impreziosendo ulteriormente il disco. Fatelo vostro al più presto.

Voto 9/10

The end complete (1992)

Continua l’evoluzione dell’Obituary sound con questo The end complete, che pur non allontandosi molto da quanto già fatto su Cause of death cerca nuove soluzioni stilistiche e di suono. Da annoverare il ritorno di Allen West (già presente su Slowly we rot) alla chitarra che sostituisce James “Re Mida” Murphy. Già perchè è abbastanza noto a tutti che ovunque vada quest’uomo ne scaturisca un album sopra le righe (vedi Death o Testament). In questo caso la sua dipartita non ha segnato comunque grossi cali qualitativi, grazie anche al talento del già citato West. Infatti questo The end complete non si discosta più di tanto dai tempi e dal riffing di Cause of death, ma ne approfondisce le parti lente e ne aumenta ulteriormente la complessità dei riffs, senza però riuscire a raggiungere la maestosità compositiva del suo predecessore. Forse un po’ penalizzato anche dalla produzione troppo cristallina risulta essere leggermente più freddo dei precedenti lavori. Intendiamoci, non sto parlando di un album fallimentare, tutt’altro, anche perchè le song ottime e la qualità complessiva dell’album ci sono tutte. Probabilmente era ed è impensabile cercare di ripetere il successo ottenuto con Cause of death restando ancorati agli stessi schemi. In sintesi un ottimo album, ben scritto e suonato, in tipico stile Obituary, che segna il successo definitivo per questa band, e lascia intravedere il clamoroso cambio di rotta che avverrà con il successivo World demise.

Voto: 8/10

World demise (1994)

Eccoci giunti ad uno degli album più strani e contorti che abbia mai ascoltato. Il più lento, il più pesante e il più intricato album che gli Obituary abbiano mai prodotto. Premetto che prima di cominciare ad apprezzarlo ho dovuto riascoltarlo un migliaio di volte, ma quando ne ho compreso lo spirito e la particolarità me ne sono innamorato, e tuttora dopo Cause of death resta il mio album preferito degli Obituary. Strizzando l’occhio ai Pantera, ma mantenendo in pieno lo stile Obituary, questo World demise accentua le caratterische di pesantezza e riffing, aggiungendo parecchie nuove soluzioni, nuovi tempi di batteria ed eliminando quasi completamente i tempi andanti tipici del death che tanto li avevano resi celebri sui precedenti album. Una scelta azzardata, dunque, che infatti tuttora fa storcere il naso ai fan di vecchia data. Effettivamente questo World demise necessita di parecchi ascolti prima di venire compreso in tutta la sua genialità, ma quando lo si è digerito per bene, appare chiara la genialità degli Obituary che riscono a fare male, molto male, pur andando a tempi clamorosamente lenti e cadenzati. Don’t care, Redefine, la mostruosa Final thoughts o la tribaleggiante Kill for me sono esempi di originalità pura applicata ad un genere, il death, che non è certo molto facile da innovare o rendere originale. Gli Obituary ci sono riusciti. Non c’è molto da aggiungere, dodici gioiellini senza cali di tono (caratteristica di tutti gli album degli Obituary) e uno dei miei album preferiti di uno dei miei gruppi preferiti. Compratelo.

Voto 9/10

Back from the dead (1997)

Dopo un lungo periodo di silenzio tornano gli Obituary con questo Back from the dead (titolo abbastanza significativo), che segna un flash back parziale a quanto fatto nei primi album. Si, parziale, perchè dopo la parentesi fuori tema di World demise i cinque floridiani cercano di tornare sui propri passi, forse forzatamente. Sta di fatto che il risultato è abbastanza buono, buone song, buoni riffs, ma il capolavoro è lontano. Forse è la semplicità di fondo che caratterizza le dieci song di questo Back from the dead a non convincermi più di tanto. Canzoni che colpiscono e piacciono subito ma che forse a causa proprio della loro maggiore semplicità non rendono quest’album un capolavoro. Ci sono sono comunque tutti gli elementi e le premesse per piacere ad un fan degli Obituary, e cioè la pesantezza del suono (caratteristica di ogni album), i riff caratteristici della coppia Peres/West, il drumming precisissimo di Donald Tardy e la voce sempre lacerante di John Tardy. Una nota particolare per la conclusiva title track, lentissima e stupenda.

Voto 7/10

Dead (1998)

ALL THE WAY, FROM TAMPA, FLORIDA… OBITUARY!!! Probabilmente il miglior Live che io possegga dopo Live after death dei Maiden. I migliori pezzi degli Obituary con il miglior suono possibile per un live. Coinvolgente, sporco, sudato ma precisissimo e clamorosamente pesante. Le song sono state estrapolate un po da tutti gli album, e precisamente 2 da Slowly we rot, 4 da Cause of death, 1 sola da The end complete, 3 da World demise e ben 6 da Back from the dead. Questo live, che sa un po’ di canto del cigno, pone il sigillo su una carriera fatta di soli alti, di evoluzione e coerenza, di qualità e quantità, di grande death metal. Ogni fan che si rispetti deve possedere questo album, a maggior ragione ora che gli Obituary hanno deciso di interrompere la loro carriera, perchè in questo disco si trovano tutti i migliori pezzi del gruppo e la possibilità di ascoltare con quanta maestria e violenza venivano eseguiti in sede live. Correte ad acquistarlo!

Anthology (2001)

Forse superflua, questa antologia giunge nei negozi dopo l’annuncio di Trevor Peres della fine degli Obituary. Non c’è molto da dire, come tutte le raccolte questo Anthology raggruppa i migliori pezzi del gruppo, da Slowly we rot a Back from the dead, passando per il geniale Cause of death, il pesantissimo The end complete e l’originale World demise. Utilissimo per chi non conosce gli Obituary, quasi inutile per i fan, non fosse per la cover dei Venom posta alla fine come chicca: Buried alive. Con questa raccolta si conclude la discografia di uno dei miei gruppi preferiti di sempre, fondatori e portabandiera del death metal, fondamentali per tutta la scena metal mondiale, e che hanno influenzato centinaia di bands e di musicisti. Unici, geniali, innovatori e coerenti, hanno fatto scuotere migliaia di teste di ragazzi durante la loro carriera, e finchè ci sarà qualcuno che terrà vivo il loro ricordo la musica estrema resisterà, perchè è grazie a gruppi come gli Obituary se il metal più oltranzista continua a sopravivvere nonostante una scarsa opinione da parte dei media e dell’opinione pubblica. DEATH METAL WILL NEVER DIE!